martedì 22 novembre 2011

L’etica dello Spirito

    Allo Spirito si rivolge tutto ciò che ha bisogno di santificazione; Lui desiderano ardentemente tutti quelli che vivono secondo virtù: dal Suo soffio sono come rinvigoriti e aiutati a raggiungere il fine loro proprio anche secondo natura. Capace di perfezionare gli altri, egli per sé non viene meno in nessuno; vive senza bisogno di rifare le Sue forze e anzi rifornisce la vita. Le anime che portano lo Spirito, illuminate dallo Spirito diventano esse stesse spirituali e riversano la grazia sugli altri.  (Basilio di Cesarea).
Ma il frutto dello Spirito è: amore, gioia, pace, pazienza, gentilezza, bontà, fede, mansuetudine, autocontrollo.  Contro tali cose non vi è legge. Ora quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e le sue concupiscenze. Se viviamo per lo Spirito, camminiamo altresì per lo Spirito. (Gal. 5, 22)
L’etica dello Spirito che produce la “Metanoia” nel credente, crea le condizioni psicologiche e, spirituali per rinunciare alle vecchie abitudini come i frutti della carne e le vane concupiscenze per far germogliare il vero amore dal quale derivano le altre virtù.
1) L’Amore agape non commette adulterio, rispetta il prossimo come se stesso, non conosce il concetto di fornicazione lo contrappone alla castità e purezza in onore a Dio. Nel Nuovo Testamento il termine greco agape gode di diversi significati:
Eros, amore romantico e sessuale.
       Philos, amore fraterno e sentimenti legati alla famiglia.
 Agape, esprime l’amore di Dio manifestato in Cristo: quel dono totale di se stessi che rende capaci d’amare anche i nemici. É un bene non originato da interessi egoistici ma centrato completamente nel servizio cristiano attraverso un’etica benevola che si manifesta nel dono totale di se stessi.


    2) La gioia del cristiano è un frutto raro che cresce attraverso la pace interiore, essa non conosce l’impurità e la dissolutezza, nasce e si realizza dalla salvezza (Atti 16, 4). La gioia, come qualsiasi altra emozione, non fa perdere di vista la necessità di conservare un equilibrio tra spirito e corpo, che è proprio dell’uomo. Il suo significato è “Gioiello, pietra preziosa”, e il più delle volte descrive quella gioia che ha una base nella fede. Lo spirito Santo la contrappone alle gioie effimere che hanno per scopo il libertinaggio; (Aselgeia) definita: “Prontezza ad ogni piacere”.
3) La pace: il suo significato etimologico è “tranquillità”, quiete, mentre quello pneumatico esprime lo stato dell’anima nella quale si sono acquietati i timori, le perplessità, le apprensioni e passioni. Gesù (Gv 14: 27) formula una promessa: “Io vi lascio pace; vi do la mia pace. Questo termine dell’ebraico “shalom” e, del greco “Eirene” è il frutto per eccellenza di Cristo e dello Spirito santo, come ragione della sua venuta nel mondo. L’insegnamento rabbinico lo descrive come il solo “canale” attraverso il quale la benedizione divina può fluire in questo mondo.
La pace interiore va intesa come capacità di vivere e gestire i fatti della propria storia con tutta la relativa emozionalità. Solo così può essere segno non di mera saggezza bensì dell’inconfondibile presenza del Pneuma con il quale il nostro spirito agisce in una simbiosi di comunione operativa. Lo shalom familiare in Israele era l’etica istituita da Dio che si estrinsecava nell’amore per il prossimo.[3]
4) La pazienza: questo frutto nasce sempre attraverso una prova difficile da superare, il termine ha origine dal latino volgare patire e dal greco pathein e pathos, dolore corporale e spirituale.
L’etica spirituale produce la pazienza come un frutto che nasce da un cuore arreso, un atteggiamento interiore proprio di chi sopporta il dolore, le difficoltà, le avversità, le molestie e, le controversie.  Essa rende capaci di controllare la propria emotività e restare fermi nelle convinzioni. Pazienza è l’amore che sopporta, che tollera, indulgente, è un vestito che raramente si logora, poiché supportato da altre virtù. Perdere la pazienza : esprime l’incapacità di frenarsi, di contenere l’ira. La pazienza di Giobbe ha riferimento teologico ed etico, egli tenne salda la fede in Dio e, tollerò con forza d’animo le peggiori avversità. Nel NT è usata per descrivere l'attitudine di Dio nei confronti dell'uomo.
5) Gentilezza: Il termine “gentile”, da cui “gentilezza” deriva dal latino “gentilem” che significa “appartenente a qualche gens, famiglia patrizia”. Nella concezione antica la condizione sociale si riteneva coincidesse con la condizione spirituale, la gentilezza di chi per nascita apparteneva alla nobiltà, implicava qualità morali e comportamentali corrette, come il garbo, grazia e cortesia. Lo spirito Santo appartiene alla più alta regalità Spirituale, Egli produce i sensi morali nel singolo credente e, nella comunità. La gentilezza come frutto dello Spirito non si riferisce soltanto alle buone maniere etiche, ma al servizio cristiano reso con abnegazione totale.
6) Bontà: questo frutto ha molto in comune con quello antecedente è una fonte di qualità morali che spingono l’uomo a fare il bene, ad essere generoso, affabile, cortese, mite d'animo, di cuore, di sentimenti benevolenza e, cortesia.[7] L’etica non crea la bontà, Dio il sommo bene attraverso il pneuma semina le qualità dei Suoi attributi perché rifulga nel volto dei figli l’immagine di Cristo.  “Il bene è Dio; conoscere Dio è la somma virtù e la somma beatitudine; il desiderio di Dio, il conato dintenderlo è il motivo necessario e sufficiente a determinare la condotta atta a procacciarlo” (Baruch Spinoza).
7) Fede: La fede è l’aspetto concreto della vera conversione, il lato umano della rigenerazione, essenziale per avere relazione con Dio.[8] Il termine deriva dal latino “fides”, e dal greco “Peith-ò” persuado, mi fido.Tale frutto fa parte delle tre virtù teologali che unito alla speranza e la carità permangono in eterno. Senza la fede il cuore dell’uomo diventa insensibile. Essa nasce ascoltando la Parola di Dio e serbandola nel cuore. (Rom. 10, 17). La fede spirituale è quella fiducia in vari gradi dal credente “nato di nuovo”, la quale si basa sulla conoscenza di Dio. Essa è il fondamento dell’etica: vive e cresce attraverso un esercizio pneumatico e di conseguenza alimenta i frutti dello Spirito dei quali fa parte attiva.
8) Mansuetudine: è quell'atteggiamento di pensiero opposto all'asprezza alla contenziosità, e che si manifesta con gentilezza e tenerezza nei rapporti con il prossimo. Essa è descritta come umiltà, lentezza all’ira, dolcezza ed altro, non è una qualità naturale è la manifestazione di una mente rinnovata; eccetto nel caso di Cristo nel quale è l’espressione e la manifestazione della Sua natura Santa. Come attributo umano, Aristotele la definisce il punto inter­medio tra la collera irrefrenabile e l’apatia di carattere che è incapace di indignarsi anche se giustamente. Secondo questa con­cezione essa equivale all’imparzialità, Platone la contrappose alla violenza e alla crudeltà e la usò col significato d’umanità verso chi è condannato. Finder la applica ad un re, mite, amabile verso i suoi concittadini, ed Erodoto la usò come l’opposto della collera. Essa è la virtù dei grandi, dei saggi, dei forti, dei nobili (Proverbi 16, 32). La mansuetudine come frutto dello Spirito è la più grande manifestazione etica che precede la gloria, la caratteristica di Cristo l’Agnello immolato, il più alto modello di mansuetudine.
9) Autocontrollo: Il termine che Paolo adopera è Enkrateia autodisciplina e, sintetizzando, la capacità di regolare la propria condotta in modo conforme alle esigenze sociali, dominando o inibendo manifestazioni emotive e impulsi, frenando le proprie pulsioni. Inoltre è dominio di sé, dei propri impulsi, desideri, bisogni e passioni della ragione dell’uomo. 
L'autocontrollo, è anche chiamato disciplina, dominio di se, equilibrio, non come repressione ma in modo di scegliere la soluzione migliore. L’etica dello Spirito non costringe ad una rinuncia forzata, aiuta a con-vivere all’interno dei confini del dovere, nella pienezza dei compiti e dei processi concreti della vita con le sue multi forme necessità.[12]
Il cristiano, si sottomette all'etica dello Spirito Santo per entrare  nella via della santificazione, vale a dire: vivere una vinta non con "l'aureola", ma appartata dal peccato nell'attesa del ritorno di Cristo.




[3] Waldemar Janzen, Etica dell’Antico Testamento Un approccio paradigmatico, ed. Claudiana   2004 Torino; pag. 17.
 [4] Vestitevi dunque come eletti di Dio, santi e diletti, di viscere di misericordia, di benignità, di umiltà, di mansuetudine e di pazienza. (Cl. 3, 12).

[7] dizionari.hoepli.it › Dizionario Italiano.
[8] Eb. 11, 6 - « Senza fede è impossibile piacergli; poiché chi s'accosta a Dio deve credere ch'Egli è, e che è il rimuneratore di quelli che lo cercano ».
              [12] Dietrich Bonhoeffer, Etica, Brescia 1995, p. 326.




[1] Alister E. Mac Grath, Teologia Cristiana, Claudiana -Torino 1999, pp. 286 – 287.

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