lunedì 5 marzo 2012

TORNATE ALLA FORTEZZA Testo Zacc. 9,12.


TORNATE ALLA FORTEZZA, O VOI PRIGIONIERI
   DELLA SPERANZA, 
OGGI STESSO DICHIARO CHE TI
       RENDERO' IL DOPPIO. 
(istruiti nel cuore dalla sapienza)
Testo Zacc. 9,12.









Dopo un lungo periodo di 70 anni di prigionia per il popolo d’Israele, Dio fa udire la Sua voce di speranza attraverso i profeti. Dapprima attraverso Aggeo l’incoraggia a ricostruire le mura e il tempio di Gerusalemme, poi sotto la guida di Zorababele li guida verso la libertà, ma non tutti hanno nutrito nel cuore la speranza di rivedere la propria terra, il tempio di Gerusalemme, e le proprie città. Le parole del profeta Zaccaria sono imperative: tornate alla fortezza o voi prigionieri della speranza. Altri traducono istruiti nel cuore dalla Sapienza.

COS’E’ LA SPERANZA? L’A. T. ce la presenta come attendere con impazienza; il verbo stativo che esprimeva uno stato d’animo era bhatah: piena fiducia in Dio oppure hàsà: nascondersi in Dio, sotto le Sue ali, colui che spera, si rifugia in Dio, si sottomette alla Sua volontà, ed è consapevole che spesso è messo alla prova. Nel N.T. la speranza è rivolta sempre ad un bene, per questo fatichiamo e lottiamo (dice l’apostolo Paolo a Timoteo) perché abbiamo posto la nostra speranza nell’Iddio vivente, che è il salvatore di tutti gli uomini (1) Tim 4,10). La speranza nel N.T. fa parte delle tre virtù teologiche insieme alla fede e all’amore. Paolo sviluppa la teologia della speranza: il suo oggetto è la gloria di Dio e di Cristo, gioire nella speranza di diventare partecipi della gloria di Dio. 
Abramo sperò contro speranza e diventò padre di molte nazioni. 
QUAL’E’ L’atteggiamento dell’anima che spera? S’appoggia sulla fede, perché nasce da essa, manifesta amore perché crede nel bene, ma è sostenuta e aiutata da altre virtù, quali: la pazienza nel sopportare con costanza, la pietà, l’auto controllo e la perseveranza, creando così una comunione con le sofferenze di Cristo. (fil.3,10) Alcuni non desiderano sentire il termine sofferenza, amano sentire soltanto quello della vittoria. Il termine vittoria presuppone una battaglia, non c’è vittoria senza battaglia! La battaglia è contro noi stessi a volte, contro il nostro "io" che non desidera essere elevato all'etica di Cristo e abbassato nell'orgoglio. Esso segue una morale facile, ma alla fine non raggiunge il traguardo della fede!
Quante prove avevano sopportato questi prigionieri: percosse, mali temporali, afflizioni, eppure continuavano a sperare nel Signore e liberatore d’Israele, considerando la prova una purificazione dell’anima. Il popolo d’Israele conosceva bene il termine fortezza, tra loro era usuale parlare con simboli, e allegorie. “l’Eterno è la mia rocca e la mia fortezza, il mio liberatore il mio Dio, la mia rupe in cui mi rifugio, il mio scudo, il corno della mia salvezza il mio alto rifugio. Salmo 18, 2)
Le fortezze erano rappresentate da mura alte 6mx4 di larghezza elevate attorno alla città attorniata da sentinelle armate e valorosi soldati. La chiesa oggi combatte contro il diavolo che vuole abbatterla, poiché il combattimento nostro non è contro sangue e carne, ma contro i principati, contro le potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono ne' luoghi celesti. Efesini 6,12
Io sono un muro di fuoco attorno a te dice il Signore! Perchè hai posto in me la tua speranza, Io ti custodirò, ti preserverò e avrò gli occhi su di te. HASA’: TORNA ALLA FORTEZZA, RIVESTITI DELLE ARMI SPIRITUALI!  VEGLIA SEMPRE COME UNA VERA SENTINELLA, SCENDI SUL CAMPO DI BATTAGLIA E RIPRENDITI CIO’ CH’E’ TUO.




lunedì 27 febbraio 2012

La "Santificazione"


"Or l’Iddio della pace vi santifichi Egli stesso completamente; e l’intero essere vostro lo spirito, l’anima e il corpo, sia conservato irreprensibile per la venuta del nostro Signore Gesù Cristo."1° Tessalonicesi 5:23
TEMA:"la santificazione" è l’argomento che viene proposto da questo verso della scrittura.
La santificazione è una cosa importante. Non possiamo e non dobbiamo trascurarla. Un verso fra tutti, ci dà la dimensione di questa esperienza, "Procacciate pace con tutti e la santificazione senza la quale nessuno vedrà il Signore.

Se noi desideriamo vedere il Signore, vederlo lungo il corso del nostro pellegrinaggio; se desideriamo vedere il Signore, in quel giorno e per tutta l’eternità dobbiamo, lungo il cammino cristiano, procacciare la santificazione. Ma per procacciare la santificazione prima di tutto dobbiamo avere un concetto chiaro intorno a quelle risorse spirituali cristiane che sono necessarie per ottenere la santificazione.
Non dobbiamo pensare che basta possedere una cultura evangelica, o religiosa, per avere la santificazione. La cultura in questi giorni si manifesta ad un livello sempre più elevato, nel seno della società ed anche in mezzo alla chiesa, ma la cultura quando è soltanto cultura non ci aiuta affatto a procacciare la santificazione.
C’è una parola nella scrittura che dovrebbe farci riflettere profondamente a questo riguardo ed è questa: "La conoscenza gonfia ma la carità edifica. Conoscenza! Cognizioni! Capacità polemiche! Cultura in generale! Quante volte abbiamo constatato che esistono denominazioni morte, ma che culturalmente stanno molto più avanti di noi; e quante volte abbiamo incontrato dei sedicenti credenti privi di ogni esperienza spirituale, ma forniti di una grande cultura teologica.
La cultura non basta, la cultura non è da sé stessa una forza per farci procacciare la santificazione: come non è una forza quella della nostra decisione, della nostra determinazione umana.
Abbiamo un’esperienza prolungata a questo riguardo perché tutti, tutti indistintamente, prima di conoscere la grazia del Signore, abbiamo avvertito in qualche periodo della nostra vita il desiderio di correggerci e di essere migliori. Abbiamo fatto propositi, in certe circostanze abbiamo promesso, ma i propositi sono crollati e le promesse sono state tradite, perché?
Perché ci siamo ritrovati proprio in quella condizione che l’apostolo Paolo descrive tanto vivacemente nel capitolo 7 dell’ epistola ai Romani.
…Volevamo!…Volevamo!…Volevamo!
…Ma non potevamo!…Non potevamo!…E non potevamo!
…E non possiamo neanche oggi!
Con le nostre capacità umane, con la nostra decisione naturale noi non possiamo progredire, nelle vie dello spirito!
Non possiamo percorrere il sentiero della santità, e non possiamo neanche percorrerlo sotto la spinta delle leggi, dei regolamenti. A volte si dice: è indispensabile intensificare la disciplina, in realtà, nel seno di una comunità è necessario applicare una disciplina - ma ricordiamoci sempre, che non sarà il regolamento della chiesa, la morale, l'etica, non saranno le norme della comunità; non neanche le leggi sancite a carattere organizzativo, a carattere nazionale, a santificare il credente o la chiesa.
Infatti l’apostolo Paolo scrivendo ai Tessalonicesi dice "L’Iddio della pace vi santifichi"; perché soltanto l’Iddio della pace può santificare, Egli ha i mezzi, gli strumenti necessari per la nostra santificazione. Ha la Sua parola, che non è cultura intellettuale, ma è potenza spirituale "Le mie parole sono Spirito e verità" diceva il Signore Gesù e quelle parole continuano ad essere Spirito e vita e continuano a possedere una potenza dinamica capace di santificare la nostra vita.
Gesù nella preghiera detta "sacerdotale"chiese al Padre:"Padre santificali nella Tua verità, la Tua parola è verità" e quindi avrebbe potuto dire direttamente: Padre santificali nella tua parola! Quella parola che è come una spada a due tagli, che raggiunge la divisione dell’anima e dello Spirito, che penetra fino al midollo delle ossa, che è giudice dei pensieri e delle intenzioni del cuore!
Quella parola che è capace di spogliare e di rivestire!…. Di ferire e di guarire! D’illuminare e di condurre!… E’ la Parola di Dio! Quando la parola giunge nel profondo del cuore e viene ascoltata, ricevuta e praticata, non come parola d’uomo- ma come Parola di Dio - opera efficacemente in noi.
Paolo nell’epistola ai Romani capitolo 1 verso 16 afferma "Io non mi vergogno dell’Evangelo di Gesù Cristo, perché esso è la potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede" e quante volte abbiamo sottolineato il fatto che, nel testo greco quel termine tradotto potenza è "dunamis": la dinamite di Dio, il dinamismo di Dio, la dinamo di Dio! Possiamo fare le più diverse applicazioni ma per giungere sempre alla medesima conclusione.
Nell’Evangelo, nella Parola di Dio c’è la potenza! Una potenza santificante!…Una potenza trasformatrice!…Una potenza capace di modellare il nostro carattere, alla conformità del carattere di Cristo!
E’ vero, noi diciamo che Iddio santifica mediante l’opera della grazia; ma è proprio nell’opera della grazia, che noi riceviamo quella Parola che è Spirito e Vita. E’ proprio nell’opera della grazia, che noi realizziamo la virtù benedetta dello Spirito Santo in noi!
Lo Spirito Santo in quanto Santo, è santificante! Dobbiamo correggere certe idee che abbiamo intorno a questo soggetto spirituale. Certe idee che ci fanno concludere che lo Spirito Santo è solo euforia, è solo gioia, è solo esuberanza, è solo lingue, è solo interpretazioni.
Nell’epistola ai Galati al capitolo 5, verso 22 l’apostolo Paolo ci parla del frutto dello Spirito. Dallo Spirito viene l’amore, la gioia, la pace, la pazienza, la gentilezza, la bontà, la fede, la mansuetudine, l’autocontrollo!……La santità!!!
Quindi lo Spirito Santo compie un’opera di santificazione, di profonda santificazione nella nostra vita!
 Lo Spirito Santo quando satura il nostro essere, trabocca dalla nostra vita, è potente in noi; ci dà la gioia, l’allegrezza, ma compie essenzialmente un’opera di trasformazione e santificazione.
Iddio ha gli strumenti adatti per santificare, ecco perché dobbiamo abbandonarci fra le sue braccia, umiliarci sotto la Sua potente mano.
Si!…"l’Iddio della pace vi santifichi Egli stesso completamente", e noi dobbiamo farci santificare da Lui, perché solo Lui lo può fare, e  completamente!
 Il Signore vuole le opere compiute, non può accettare le opere a metà. Come non può accettare le offerte a metà e la consacrazione a metà.
"Io non ho trovato le opere tue compiute nel cospetto dell’Iddio mio", così troviamo scritto nell’Apocalisse.
E’ una parola severa, che ci chiama alla realtà della vita spirituale e ci responsabilizza nel cospetto di Colui che ci ha chiamati alla Sua grazia. Non per vivere superficialmente, per scendere al compromesso o per zoppicare da ambedue i lati, come diceva il profeta Elia; ma per camminare integralmente, rettamente nella Sua volontà, nelle sue vie e solo il Signore ci può santificare completamente. Può rendere perfette le opere nostre e calda la nostra vita.
"tu non sei né freddo e né fervente, sei tiepido; e perché sei tiepido, io ti vomiterò fuori dalla mia bocca!"
Tiepido è colui che ha disperso il calore che aveva, che non ha mai raggiunto il calore che doveva raggiungere.
In un caso e nell’altro, qualcuno che si trova a metà e quelli che si trovano a metà sono lontani da Dio, perché Egli accoglie quelli che si trovano in cima, che si sono nella Sua volontà, in armonia con il Suo piano benedetto! Ecco perché Iddio, e Lui soltanto, deve santificarci perché Egli compie un’opera completa,…non a metà!
Colui che ha incominciato l’opera buona in noi è capace di portarla a compimento!…
Il Signore ci vuole intieramente santi! Dobbiamo essere santi nell’attitudine interiore, nelle nostre tendenze, nei pensieri della nostra mente; purificati dal Sangue di Gesù, ma anche dalla Parola di Dio, anche dalla potenza dello Spirito di Dio. I nostri sentimenti…resi luminosi dall’insegnamento che giunge a noi, per operare dentro di noi!…Le nostre parole! Il nostro linguaggio deve essere disciplinato dallo Spirito di Dio….Quante parole stolte!…Quante parole inutili!…Quante parole mondane!…Quante parole frivole!…Quante parole peccaminose!
"Siano le vostre parole poche- dice l’apostolo – e se ve ne è alcuna buona, ad edificazione affinché conferisca grazia agli ascoltanti… Si!…Se alcuno parla, parli come gli oracoli di Dio". E’ soltanto Iddio che può santificare in questo modo! E’ soltanto Dio che può mettere un freno alla nostra alla nostra lingua, alle nostre labbra! Cari nel Signore!
Nessun uomo lo può! L’apostolo Giacomo lo afferma solennemente, nessun uomo può! "L’uomo che riesce a tenere a freno la sua lingua dove si trova? Egli allora è capace di tenere a freno tutto il suo corpo". Ma quello che l’uomo non può con le sue forze, con le sue capacità, con la sua cultura religiosa, Iddio lo può con la potenza della Sua grazia.

Santificazione è il cammino da una santità relativa ad una santità assoluta
 Egli ci chiama ad essere simili a Gesù Cristo, il Suo Figliolo!
Noi siamo partiti dall’opera della grazia e dobbiamo arrivare a questo traguardo. In mezzo c’è un cammino, percorrere questo cammino significa santificarsi. Questa è "santificazione"! Alleluia! Gloria al nome del Signore!
Quindi rappresenta lo spogliamento di noi stessi ed il rivestimento delle virtù di Cristo. L’eliminazione di tutto ciò che è male o la separazione da tutto ciò che è peccato, per l’acquisizione di tutto ciò che è bene alla gloria di Dio, per piacere a Dio!
E’ uno spogliare continuamente, costantemente, le opre della carne del presente secolo, le opere che appartengono alla vanità del mondo, per rivestire con altrettanta fedeltà e costanza le caratteristiche del figlio di Dio, le virtù del cielo. Non c’è benedizione lontano dalla santificazione!  Tanti cercano i surrogati e le sostituzioni, i metodi psicologici, organizzativi, ma essi rappresentano dei palliativi.
Noi abbiamo bisogno della grazia di Dio, della potenza di Dio, e delle Sue benedizioni se vogliamo realizzare queste meravigliose realtà, dobbiamo vivere nella Sua volontà, cioè ci dobbiamo lasciare santificare da Lui e santificare interamente: anima, corpo e spirito per essere una persona intera nella Sua mano benedetta ora e per tutta l’eternità.














R.B.


sabato 4 febbraio 2012

LA COMUNITA' VISIBILE


La Chiesa di Gesù Cristo e la sua obbedienza
La comunità visibile
Il corpo di Cristo occupa dello spazio in terra. Con la sua incarnazione Cristo pretende dello spazio tra gli uomini. Venne «in casa sua». Ma alla sua nascita gli diedero una stalla, «perché non v'era posto nel loro albergo»: lo respinsero nella vita e nella morte, così che il suo corpo fu appeso tra cielo e terra, sulla forca. Ma l'incarnazione comprende il diritto ad uno spazio proprio in terra. Ciò che occupa dello spazio è visibile o non è corpo. Si vede l'uomo Gesù, lo si crede Figlio di Dio. Si vede il corpo di Gesù, lo si crede corpo di Dio divenuto uomo. Si vede che Gesù era incarnato, si crede che egli portò la nostra carne. «Devi indicare questo uomo e dire: è Dio» (Lutero). Una verità, una dottrina, una religione non ha bisogno di spazio per sé. È senza corpo. La si ascolta, impara, comprende: ecco tutto. Ma il Figlio di Dio incarnato ha bisogno non solo di orecchi e di cuori, ma di veri uomini che lo seguano.
Perciò egli invitò i discepoli a seguirlo fisicamente, e la sua comunione con loro era visibile a tutti. Era fondata e tenuta unita da Gesù Cristo stesso divenuto uomo. La Parola incarnata aveva chiamato, aveva creato la comunità fisica visibile. I chiamati non potevano più rimanere nascosti, erano la luce che deve risplendere, la città sul monte che si deve vedere. Sopra la loro comunità stava eretta visibilmente la croce e passione di Gesù Cristo. Per amore della comunione con lui i discepoli dovettero lasciare tutto, dovettero soffrire ed essere perseguitati, ma proprio mentre erano perseguitati era loro visibilmente restituito, nella comunione con lui, ciò che avevano perduto, fratelli e sorelle, campi e case. La comunità dei seguaci era manifesta davanti al mondo. Qui erano corpi che agivano, lavoravano, soffrivano in comunione con Gesù.
Anche il corpo del Signore glorificato è un corpo visibile sotto forma di comunità. Come diviene visibile questo corpo? In primo luogo nella predicazione della Parola. «Ed erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli» (At. 2,42). Ogni parola di questa frase è importante. Dottrina (didake) significa predicazione, qui in opposizione ad ogni specie di discorso religioso. Qui si tratta di comunicazione di fatti avvenuti. Il contenuto di ciò che deve essere detto è obiettivamente certo, basta che venga trasmesso con «l'insegnamento». Ma una comunicazione si limita essenzialmente a cose non note. Una volta che sono conosciute non ha senso continuare a comunicarle; perciò veramente il concetto di 'insegnamento' rende se stesso superfluo. In strano contrasto qui è detto che la prima comunità 'perseverava' nell'insegnamento; cioè che questo insegnamento non si rende superfluo, ma pretende, anzi, perseveranza. L' 'insegnamento' e la 'perseveranza' devono essere collegate da una necessità obiettiva. Essa è espressa nel fatto che si tratta qui di «insegnamento degli apostoli». Che significa «insegnamento degli apostoli?». Apostoli sono gli uomini scelti da Dio per testimoniare la realtà della rivelazione in Gesù Cristo. Hanno vissuto in comunione fisica con Gesù, hanno visto Gesù incarnato, crocifisso, risorto e hanno toccato il suo corpo con le proprie mani (1 Gv. 1,1). Essi sono i testimoni di cui si serve Dio, Spirito Santo, come strumento per annunziare la Parola. La predicazione degli apostoli è la testimonianza della realtà che Dio si è rivelato fisicamente in Gesù Cristo. Sul fondamento degli apostoli e profeti è edificata la Chiesa, la cui pietra angolare è Gesù Cristo (Ef. 2,20). Ogni ulteriore predicazione deve essere predicazione apostolica ed edificare su questo fondamento. Così viene stabilita l'unità tra noi e la prima comunità mediante la parola degli apostoli. Fino a che punto questo insegnamento apostolico rende necessaria la perseveranza nell'ascolto? La parola apostolica è, nella Parola di Cristo, realmente Parola di Dio (1 Ts. 2,13). È perciò Parola che vuole accettare uomini ed ha il potere di farlo. La Parola di Dio cerca una comunità per accettarla. È essenziale nella comunità. Entra spontaneamente nella comunità. Ha un movimento proprio verso la comunità. Non che da una parte ci sia una parola, una verità e dall'altra una comunità, e che il predicatore debba ora prendere questa parola, la debba usare, muovere per portarla nella comunità, applicarla ad essa. La Parola percorre da sé questa via, il predicatore non deve e non può fare nulla se non servire al movimento proprio della Parola, non opporle nulla. La Parola esce per accettare gli uomini; gli apostoli sapevano questo e questo era il contenuto della loro predicazione. Avevano pur visto la Parola di Dio stessa, com'era venuta, come si era incarnata ed aveva preso su di sé, in questa carne, tutta l'umanità. Ora non dovevano che testimoniare che questo, che la Parola di Dio è divenuta carne, che venne per accettare i peccatori, per perdonare e santificare. Questa è la Parola che entra nella comunità, la Parola incarnata, che porta già tutta l'umanità, che non può più essere senza l'umanità che ha accettata, che va dalla comunità. Ma con questa Parola viene lo Spirito santo stesso, che mostra al singolo ed alla comunità ciò che da tempo le è stato donato in Cristo. Egli opera negli uditori la fede, che nella Parola della predicazione Gesù Cristo stesso è venuto in mezzo a noi nella potenza del suo corpo, che viene per dirmi che mi ha già accettato e che mi vuole accettare anche oggi.
La parola della predicazione apostolica è la Parola che ha portato nel suo corpo i peccati di tutto il mondo, è il Cristo presente nello Spirito santo. Cristo nella sua comunità, ecco «l'insegnamento degli apostoli», la predicazione degli apostoli. Quest'insegnamento non si rende mai superfluo, ma si crea la comunità che resta ferma in essa, perché è accettata dalla Parola e ogni giorno riacquista questa certezza. Questo insegnamento si crea una comunità visibile. Alla visibilità del corpo di Cristo nella predicazione della Parola si aggiunge la visibilità nel battesimo e nella Santa Cena. Ambedue provengono dalla reale umanità del nostro Signore Gesù ~ Cristo. In ambedue egli ci viene incontro fisicamente e ci rende partecipi della comunione del suo corpo. Ma tutti e due questi atti vanno uniti all'annunzio. Nel battesimo e nella Santa Cena c'è l'annunzio della morte di Cristo per noi (Rom. 6,3 ss.; 1 Cor. 11,26). In ambedue ci viene donato il corpo di Cristo. Nel Battesimo ci viene dato di essere membri del suo corpo, nella Santa Cena ci viene donata la comunione fisica (koinonia) con il corpo del Signore che riceviamo, ed appunto in questa la comunione fisica con le membra di questo corpo. Così, mediante il dono del suo corpo, diveniamo un corpo con lui. Non comprendiamo completamente né il dono del Battesimo né quello della Santa Cena se li qualifichiamo perdono dei peccati. Ma il perdono dei peccati è incluso nel dono del corpo di Cristo nella sua comunità. Da ciò si comprende come in origine la somministrazione del battesimo e della Santa Cena - proprio al contrario di quanto accade oggi - non fosse legato al ministerio della predicazione apostolica, ma venisse compiuto anche dalla comunità stessa (1 Cor. 1,1 e 14ss.; 11,17ss.). Battesimo e Santa Cena appartengono solo alla comunità del corpo di Cristo. La Parola è rivolta a chi crede e a chi non crede. 
È ora chiaro che la comunità di Gesù Cristo nel mondo richiede uno spazio per la predicazione. 
Il corpo di Cristo è visibile nella comunità raccolta attorno alla Parola.
Questa comunità è un tutto articolato. Così la comunità interviene nella vita del mondo e conquista spazio per Cristo, perché ciò che è «in Cristo» non è più sotto il dominio del mondo, del peccato e della legge. In questa comunità rinnovata nessuna legge del mondo ha più da dire qualcosa. Il regno dell'amore cristiano tra fratelli è sottoposto a Cristo, non al mondo. La comunità non può ormai permettere oltre che al servizio dell'amore reso al fratello, al servizio della misericordia siano imposti dei limiti. Infatti dov'è il fratello lì è il corpo di Cristo stesso, lì è sempre anche la sua comunità, lì devo esserci anch'io.
Da Sequela.

mercoledì 4 gennaio 2012

IL FRUTTO DELLO SPIRITO


IL FRUTTO DELLO SPIRITO
Da molti pulpiti è stato ripetuto che frequentemente la cristianità ha curata la
ricerca de doni dello Spirito a danno dello sviluppo del frutto dello Spirito. Non si può
escludere che è stata affermata una verità valida almeno per certi periodi e per certi
luoghi; la mancanza di equilibrio e di armonia sono comuni nella natura umana.
Pensiamo però che questa verità non si riferisca alla attuale situazione del popolo
di Dio; oggi non si può parlare di abbondanza di doni spirituali e di immaturità di vita
cristiana perché l'assenza dello Spirito ha prodotto purtroppo la deficienza di ambedue
queste realtà. Non ci sono e non si manifestano i doni e non c'è e non appare il frutto
dello Spirito.
La situazione quindi è più tragica di quella che può emergere da una mancanza di
equilibrio cristiano dove la vita e la potenza dello Spirito sono assecondate in maniera
disordinata e imperfetta, ma pure sono parzialmente assecondate.
Qui invece l'opera dello Spirito è rifiutata, ostacolata e non può apparire in
nessuna specie di vita religiosa; mancano i doni, manca il frutto, c'è l'assenza
completa dei fenomeni spirituali perché c'è l'assenza dello Spirito.
Che cos'è il «frutto» dello Spirito? Possiamo entrare nel soggetto rispondendo
subito a questa domanda: Il frutto dello Spirito é il risultato spontaneo della potenza
divina nella vita morale e spirituale del credente. Lo Spirito riproduce se stesso
mediante un fenomeno di biologia soprannaturale ed appare attraverso la vita del
credente, nelle sue caratteristiche o nei suoi attributi morali.
Non rientra nel soggetto di questo scritto studiare didatticamente questo
fenomeno spirituale e perciò non possiamo soffermarci a commentare esegeticamente
i passi biblici che si riferiscono all'argomento, ma non è superfluo ricordare che il
«frutto» dello Spirito nella «singolarità» della sua natura possiede una «pluralità» di
manifestazioni distinte; l'apostolo Paolo infatti così definisce questa meravigliosa
realtà spirituale: - Il frutto dello Spirito, invece, è amore, allegrezza, pace,
longanimità, benignità, bontà, fedeltà, dolcezza, temperanza.
Queste molteplici e diverse realtà si trovano, così sembra, in un unico frutto e
perciò coesistono contemporaneamente nella vita di quel credente ove lo Spirito ha la
possibilità di maturare la manifestazione dei suoi attributi morali. I «doni» nella loro
pluralità, possono apparire nella vita del cristiano separatamente ed
indipendentemente l'uno dall'altro; un credente cioè, può ricevere ed esercitare un
dono senza necessariamente ricevere gli altri, ma non può invece portare il «frutto»
dello Spirito senza avere le diverse parti di esso.
Nel linguaggio spicciolo il «frutto» dello Spirito è stato assomigliato ad una
arancia che serra sotto una medesima buccia i diversi spicchi, cioè le varie, distinte,
ma integranti parti del frutto. Questa limpida esemplificazione ci aiuta a comprendere
la netta differenza che esiste fra i «doni» dello Spirito ed il «frutto» dello Spirito nella
vita del credente: i due fenomeni hanno caratteristiche distinte e diverse negli effetti
pratici della vita cristiana.
La diversità degli effetti non esclude però l'unicità della causa e possiamo perciò
ritornare nel vivo del nostro soggetto. ribadendo quanto affermato e cioè che il «
frutto » dello Spirito, come i «doni» dello Spirito, rappresenta il risultato naturale della
reale e dinamica presenza dello Spirito nella vita del credente. Quando lo Spirito è
presente, ed è libero di svolgere la sua azione divina, i doni, il frutto, le operazioni ed i
ministeri si manifestano come conseguenza automatica, ma quando lo Spirito é
assente od è contrariato e contristato, non soltanto i doni mancano, ma con i doni
mancano tutti gli altri fenomeni spirituali incluso quello del «frutto», cioè della vita
morale del cristiano.
Crediamo di aver esaurientemente chiarita la premessa per poter andare avanti
nell'argomento: - La vita morale del popolo di Dio può essere pienamente realizzata

soltanto per la presenza e per la potenza dello Spirito. In altre parole, soltanto il
«frutto» dello Spirito rappresenta la reale vita morale del cristiano e qualsiasi altra
«vita morale» fuori dello Spirito non è autentica morale di fronte a Dio.
Oggi, purtroppo, questa verità non è tenuta in grande considerazione e dal seno
di una cristianità separata dallo Spirito parte la ricerca per una morale
pseudo-cristiana. I predicatori proclamano l'eccellenza dell'amore, dell'allegrezza,
della pace, della longanimità e di ogni altra manifestazione del «frutto» dello Spirito,
ma non predicano la necessità di ricevere e far operare lo Spirito.
Sembra quasi che si voglia compiere il tentativo di riprodurre artificialmente e
forse anche separatamente le manifestazioni del frutto dello Spirito. I risultati
raggiunti fino a questo momento sono desolanti e l'amore, la pace o l'allegrezza che
oggi si trovano nelle chiese non costituiscono davvero un incoraggiamento a
proseguire il temerario esperimento.
L'amore prodotto per un processo di fecondazione artificiale non assomiglia
neanche debolmente all'amore che esiste nel «frutto» dello Spirito, e l'allegrezza o la
temperanza conseguenti all'opera d'un ministero estraneo allo Spirito non hanno nulla
in comune con le medesime virtù che si trovano entro quel glorioso frutto che viene
prodotto dallo Spirito.
Ma sembra, purtroppo, che anche sul piano morale le chiese cristiane siano
soddisfatte; l'etica che insegnano e vivono, arida, fredda, improduttiva rappresenta un
manto capace di coprire, da un punto di vista esclusivamente sociale, l'impudicizia
dell'immorale natura animale, e le chiese ne sono soddisfatte, obliando che quel
manto non può e non potrà mai coprire le immonde nudità che appaiono agli occhi di
Dio. Soltanto una vita realmente spirituale può generare quel «frutto» che contiene in
se stesso tutte le caratteristiche di una vita morale conforme alla natura e quindi ai
desideri di Dio.
La vita spirituale invece é assente; è assente nell'amore, é assente nella pace, è
assente nella longanimità, é assente nell'allegrezza; è assente insomma in ogni
particolare della vita morale della chiesa e quindi nella chiesa esistono amore, pace od
allegrezza, ma esistono soltanto come ignobili falsificazioni di queste virtù
soprannaturali. Gli attributi di Dio dovrebbero essere gli attributi dei figli di Dio; essi
dovrebbero possedere e manifestare la pace «di» Dio, l'amore «di» Dio, la pazienza
«di» Dio, invece essi posseggono pace, amore, pazienza, ma questo patrimonio non é
il patrimonio «di» Dio perché non è prodotto dalla potenza soprannaturale dello Spirito
Santo.
Anche qui la chiesa ha pagato e paga il suo tributo al mondo perché é proprio il
mondo che esige che sia posta in circolazione la valuta della terra al posto della valuta
del cielo. I credenti chiedono infatti che ci sia esuberanza d'amore, ma quale amore
vogliono?
Ieri, quando la chiesa era fedele, era spirituale; i credenti chiedevano l'amore che
«Dio spande nei cuori per lo Spirito Santo», ma oggi che la chiesa paga fedelmente il
proprio tributo al mondo, i credenti chiedono l'amore che nasce dalla natura umana
L'amore contenuto nel «frutto» dello Spirito é sostanzialmente diverso dall'amore
umano, ma un popolo che ha smarrito lo Spirito non sa comprendere questa
differenza e istintivamente si sente attirato verso gli elementi terreni.
Non meravigliamoci dunque se gli assertori dell'amore dimostrano di ignorare
totalmente la conoscenza del vero amore. L'amore del quale essi parlano, l'amore che
difendono energicamente, non possiede in se stesso, nessun elemento spirituale
perché non nasce dallo Spirito; è un sentimento umano che persegue scopi umani,
sociali, contingenti.
Se vogliamo dare una definizione a questa specie di amore possiamo dire che è
«quel saper stare assieme nella gioia», quel «saper indulgere opportuno e calcolato »,
quel «saper dividere egoisticamente i piaceri».

Sono espressioni che si riferiscono anche a circostanze particolari della vita
religiosa e perciò che illustrano le caratteristiche dell'amore oggi invocato nelle chiese.
L'amore spirituale invece è quell'eroico sentimento che persegue il bene eterno
dell'umanità; é un sentimento pieno di luce, di verità, di giustizia. Nella
manifestazione pratica l'amore vero può essere dolce e può essere severo, può essere
indulgente e può essere energico, ma non é mai calcolatore, opportunista, ipocrita.
Soltanto lo Spirito può generare questo amore e può alimentare questo amore;
quando lo Spirito non c'é, questo amore non può apparire. Infatti quest’amore oggi
non appare od appare raramente anche perché, come é stato detto, i credenti si
sentono più attirati dalle paroline melliflue, dalle strette di mano ipocrite e formali,
dalle espansività teatrali e bugiarde.
Ma non é soltanto l'amore che manca perché se lo Spirito é assente, sono anche
assenti tutte le altre caratteristiche del «frutto» dello Spirito; é assente cioé l'intera
vita morale della chiesa intesa nel senso cristiano della parola. I credenti hanno un
abito religioso una divisa morale, ma quell'abito é stato cucito senza la presenza e la
guida di Dio.
Non ci stancheremo mai di sottolineare che anche le caratteristiche della vita
morale, cioè le manifestazioni del « frutto » dello Spirito, sono, come i doni dello
Spirito, espressioni di soprannaturalità. Il «frutto» dello Spirito é, in altre parole, il
miracolo morale nella vita dell'uomo e l'uomo che realizza questo miracolo vive una
morale soprannaturale, una morale divina.
Si deve vedere chiaramente che la pazienza é pazienza soprannaturale e che
l'allegrezza é allegrezza soprannaturale e che ogni dettaglio della vita morale è
raggiunto per la presenza e la potenza dello Spirito di Dio. Il credente, cioè il figlio di
Dio, deve vivere su un piano soprannaturale, sia nell'esercizio del ministero cristiano e
sia nell'azione della sua vita morale.
Mancano i doni manca il «frutto» perché manca lo Spirito. Le sostituzioni sono
palesi un ogni campo e se i doni vengono suppliti con il tecnicismo, il frutto viene surrogato
con l'educazione religiosa, ma gli uni e l'altro ci offrono soltanto la
dimostrazione dell'aridità spirituale del popolo di Dio.
Quando lo Spirito sarà sparso di nuovo sopra ogni carne, quando si udrà ancora
una volta il suono del vento impetuoso, quando riappariranno le lingue di fuoco, quando
gli uomini, convinti dallo Spirito, nasceranno di nuovo d'acqua e di Spirito, quando i
figli di Dio saranno ancora condotti dallo Spirito di Dio, quando la chiesa sarà guidata
potentemente in ogni verità dal Consolatore e soltanto dal Consolatore, allora il
deserto tornerà ad essere un Carmel, e il Carmel fiorirà e fruttificherà, ed il suo frutto
sarà il «frutto» dello Spirito.
I cristiani torneranno a vivere la vita stessa di Dio e quella vita apparirà in loro
per la potenza dello Spirito e l'amore sarà l'amore che offre fino al sacrificio supremo,
ma che non tradisce mai la verità; l'allegrezza sarà l'allegrezza pura che si alimenta
nella speranza cristiana; e la pace sarà la pace profonda ed inviolabile fondata sulla
fiducia in Dio; la longanimità sarà la benevolenza illuminata, equilibrata dalla giustizia
divina; la benignità sarà la generosità fraterna ispirata dall'esempio di Cristo; la bontà
sarà la premura generosa potenziata dalla grazia celeste, la fedeltà sarà la costanza
virile che si compone in Dio; la dolcezza sarà soavità di parole e di gesti senza falsi
infingimenti; e la temperanza, alfine, sarà la concretizzazione del più perfetto
equilibrio morale alla luce di una fonte di potenza spirituale.
Vita cristiana, vita raggiunta fuori del naturale e che non rappresenta perciò
l'utilizzazione od il perfezionamento di elementi naturali, ma che appare, in maniera
inequivocabile, come il risultato dell'azione divina e soprannaturale dello Spirito Santo.
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Non dimentichiamoci che la verità centrale nell'opera della grazia è costituita
dalla «nuova nascita» e cioè da quella rigenerazione che si compie per la potenza
dell'acqua e dello «Spirito». Questa verità stabilisce che soltanto le opere compiute
dalla «nuova creatura» sono accettevoli davanti a Dio; queste opere sono le opere
dello Spirito, possiamo ben dire il «frutto» dello Spirito.
Con troppa facilità ci lasciamo ingannare dagli elementi che dovremmo invece
saper valutare e discernere; un «buon» carattere umano, una elevata educazione
sociale, una ottima morale ecclesiastica sono per noi soddisfacenti sostituzioni del
frutto dello Spirito. Siamo pronti ad elogiare ed anche ad insignire di titoli e privilegi
quei membri di chiesa o quei «bravi giovani» che manifestano una educazione
raffinata o un carattere piacevole anche senza avere il più piccolo segno di una nuova
nascita.
Non ogni frutto é il frutto dello Spirito, non ogni morale è la vera morale
cristiana, ma noi siamo divenuti estremamente indulgenti e ci accontentiamo di
qualsiasi frutto e di qualsiasi morale. Ma non in ogni frutto e, non in ogni morale c'è
Cristo e noi viviamo Cristo e manifestiamo la santità celeste di Cristo non quando
possediamo un'educazione squisita o quando esercitiamo una qualsiasi morale
ecclesiastica, ma quando maturiamo in noi e manifestiamo attraverso noi il frutto dello
Spirito.
Nella nostra vita, ripetiamo, deve apparire non qualsiasi specie d'amore, ma
l'amore che viene dallo Spirito; non qualsiasi genere d'allegrezza, ma l'allegrezza dello
Spirito; devono insomma manifestarsi gli effetti divini di una causa divina e questi
effetti devono essere una dimostrazione di potenza soprannaturale almeno analoga a
quella dei più evidenti e gloriosi miracoli operati dallo Spirito.