sabato 4 febbraio 2012

LA COMUNITA' VISIBILE


La Chiesa di Gesù Cristo e la sua obbedienza
La comunità visibile
Il corpo di Cristo occupa dello spazio in terra. Con la sua incarnazione Cristo pretende dello spazio tra gli uomini. Venne «in casa sua». Ma alla sua nascita gli diedero una stalla, «perché non v'era posto nel loro albergo»: lo respinsero nella vita e nella morte, così che il suo corpo fu appeso tra cielo e terra, sulla forca. Ma l'incarnazione comprende il diritto ad uno spazio proprio in terra. Ciò che occupa dello spazio è visibile o non è corpo. Si vede l'uomo Gesù, lo si crede Figlio di Dio. Si vede il corpo di Gesù, lo si crede corpo di Dio divenuto uomo. Si vede che Gesù era incarnato, si crede che egli portò la nostra carne. «Devi indicare questo uomo e dire: è Dio» (Lutero). Una verità, una dottrina, una religione non ha bisogno di spazio per sé. È senza corpo. La si ascolta, impara, comprende: ecco tutto. Ma il Figlio di Dio incarnato ha bisogno non solo di orecchi e di cuori, ma di veri uomini che lo seguano.
Perciò egli invitò i discepoli a seguirlo fisicamente, e la sua comunione con loro era visibile a tutti. Era fondata e tenuta unita da Gesù Cristo stesso divenuto uomo. La Parola incarnata aveva chiamato, aveva creato la comunità fisica visibile. I chiamati non potevano più rimanere nascosti, erano la luce che deve risplendere, la città sul monte che si deve vedere. Sopra la loro comunità stava eretta visibilmente la croce e passione di Gesù Cristo. Per amore della comunione con lui i discepoli dovettero lasciare tutto, dovettero soffrire ed essere perseguitati, ma proprio mentre erano perseguitati era loro visibilmente restituito, nella comunione con lui, ciò che avevano perduto, fratelli e sorelle, campi e case. La comunità dei seguaci era manifesta davanti al mondo. Qui erano corpi che agivano, lavoravano, soffrivano in comunione con Gesù.
Anche il corpo del Signore glorificato è un corpo visibile sotto forma di comunità. Come diviene visibile questo corpo? In primo luogo nella predicazione della Parola. «Ed erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli» (At. 2,42). Ogni parola di questa frase è importante. Dottrina (didake) significa predicazione, qui in opposizione ad ogni specie di discorso religioso. Qui si tratta di comunicazione di fatti avvenuti. Il contenuto di ciò che deve essere detto è obiettivamente certo, basta che venga trasmesso con «l'insegnamento». Ma una comunicazione si limita essenzialmente a cose non note. Una volta che sono conosciute non ha senso continuare a comunicarle; perciò veramente il concetto di 'insegnamento' rende se stesso superfluo. In strano contrasto qui è detto che la prima comunità 'perseverava' nell'insegnamento; cioè che questo insegnamento non si rende superfluo, ma pretende, anzi, perseveranza. L' 'insegnamento' e la 'perseveranza' devono essere collegate da una necessità obiettiva. Essa è espressa nel fatto che si tratta qui di «insegnamento degli apostoli». Che significa «insegnamento degli apostoli?». Apostoli sono gli uomini scelti da Dio per testimoniare la realtà della rivelazione in Gesù Cristo. Hanno vissuto in comunione fisica con Gesù, hanno visto Gesù incarnato, crocifisso, risorto e hanno toccato il suo corpo con le proprie mani (1 Gv. 1,1). Essi sono i testimoni di cui si serve Dio, Spirito Santo, come strumento per annunziare la Parola. La predicazione degli apostoli è la testimonianza della realtà che Dio si è rivelato fisicamente in Gesù Cristo. Sul fondamento degli apostoli e profeti è edificata la Chiesa, la cui pietra angolare è Gesù Cristo (Ef. 2,20). Ogni ulteriore predicazione deve essere predicazione apostolica ed edificare su questo fondamento. Così viene stabilita l'unità tra noi e la prima comunità mediante la parola degli apostoli. Fino a che punto questo insegnamento apostolico rende necessaria la perseveranza nell'ascolto? La parola apostolica è, nella Parola di Cristo, realmente Parola di Dio (1 Ts. 2,13). È perciò Parola che vuole accettare uomini ed ha il potere di farlo. La Parola di Dio cerca una comunità per accettarla. È essenziale nella comunità. Entra spontaneamente nella comunità. Ha un movimento proprio verso la comunità. Non che da una parte ci sia una parola, una verità e dall'altra una comunità, e che il predicatore debba ora prendere questa parola, la debba usare, muovere per portarla nella comunità, applicarla ad essa. La Parola percorre da sé questa via, il predicatore non deve e non può fare nulla se non servire al movimento proprio della Parola, non opporle nulla. La Parola esce per accettare gli uomini; gli apostoli sapevano questo e questo era il contenuto della loro predicazione. Avevano pur visto la Parola di Dio stessa, com'era venuta, come si era incarnata ed aveva preso su di sé, in questa carne, tutta l'umanità. Ora non dovevano che testimoniare che questo, che la Parola di Dio è divenuta carne, che venne per accettare i peccatori, per perdonare e santificare. Questa è la Parola che entra nella comunità, la Parola incarnata, che porta già tutta l'umanità, che non può più essere senza l'umanità che ha accettata, che va dalla comunità. Ma con questa Parola viene lo Spirito santo stesso, che mostra al singolo ed alla comunità ciò che da tempo le è stato donato in Cristo. Egli opera negli uditori la fede, che nella Parola della predicazione Gesù Cristo stesso è venuto in mezzo a noi nella potenza del suo corpo, che viene per dirmi che mi ha già accettato e che mi vuole accettare anche oggi.
La parola della predicazione apostolica è la Parola che ha portato nel suo corpo i peccati di tutto il mondo, è il Cristo presente nello Spirito santo. Cristo nella sua comunità, ecco «l'insegnamento degli apostoli», la predicazione degli apostoli. Quest'insegnamento non si rende mai superfluo, ma si crea la comunità che resta ferma in essa, perché è accettata dalla Parola e ogni giorno riacquista questa certezza. Questo insegnamento si crea una comunità visibile. Alla visibilità del corpo di Cristo nella predicazione della Parola si aggiunge la visibilità nel battesimo e nella Santa Cena. Ambedue provengono dalla reale umanità del nostro Signore Gesù ~ Cristo. In ambedue egli ci viene incontro fisicamente e ci rende partecipi della comunione del suo corpo. Ma tutti e due questi atti vanno uniti all'annunzio. Nel battesimo e nella Santa Cena c'è l'annunzio della morte di Cristo per noi (Rom. 6,3 ss.; 1 Cor. 11,26). In ambedue ci viene donato il corpo di Cristo. Nel Battesimo ci viene dato di essere membri del suo corpo, nella Santa Cena ci viene donata la comunione fisica (koinonia) con il corpo del Signore che riceviamo, ed appunto in questa la comunione fisica con le membra di questo corpo. Così, mediante il dono del suo corpo, diveniamo un corpo con lui. Non comprendiamo completamente né il dono del Battesimo né quello della Santa Cena se li qualifichiamo perdono dei peccati. Ma il perdono dei peccati è incluso nel dono del corpo di Cristo nella sua comunità. Da ciò si comprende come in origine la somministrazione del battesimo e della Santa Cena - proprio al contrario di quanto accade oggi - non fosse legato al ministerio della predicazione apostolica, ma venisse compiuto anche dalla comunità stessa (1 Cor. 1,1 e 14ss.; 11,17ss.). Battesimo e Santa Cena appartengono solo alla comunità del corpo di Cristo. La Parola è rivolta a chi crede e a chi non crede. 
È ora chiaro che la comunità di Gesù Cristo nel mondo richiede uno spazio per la predicazione. 
Il corpo di Cristo è visibile nella comunità raccolta attorno alla Parola.
Questa comunità è un tutto articolato. Così la comunità interviene nella vita del mondo e conquista spazio per Cristo, perché ciò che è «in Cristo» non è più sotto il dominio del mondo, del peccato e della legge. In questa comunità rinnovata nessuna legge del mondo ha più da dire qualcosa. Il regno dell'amore cristiano tra fratelli è sottoposto a Cristo, non al mondo. La comunità non può ormai permettere oltre che al servizio dell'amore reso al fratello, al servizio della misericordia siano imposti dei limiti. Infatti dov'è il fratello lì è il corpo di Cristo stesso, lì è sempre anche la sua comunità, lì devo esserci anch'io.
Da Sequela.

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