martedì 27 dicembre 2011

VITA RELIGIOSA E VITA SPIRITUALE


VITA RELIGIOSA E VITA SPIRITUALE

Vita religiosa non vuol dire sempre vita spirituale; dove è presente la liturgia, la
dottrina, l'organizzazione ecclesiastica è anche presente la vita religiosa, ma non
sempre nel mezzo di queste cose esiste la vita spirituale.
La vita religiosa si può materializzare come tante altre manifestazioni di vita, ed
anzi la tendenza più naturale dell'uomo è quella di sottrarre la vita religiosa dal
dominio e dalla potenza dello Spirito.
La ragione di questa tendenza è facilmente comprensibile: Nella vita spirituale
l'uomo rappresenta soltanto un elemento inerte, subordinato, si potrebbe addirittura
dire accessorio; nella vita materiale l'uomo rappresenta invece un elemento attivo e
cosciente che domina e controlla tutti o quasi tutti i fenomeni. -
L'uomo preferisce essere un dominatore e non un dominato perché preferisce
vivere sul piedistallo della propria esaltazione piuttosto che nel ricetto del proprio
annichilamento. Per questa ragione la vita religiosa si differenzia dalla vita spirituale
e s'incontra più spesso e più in abbondanza di questa.
Ci sono tante religioni nel mondo e quindi ci sono tante diverse forme di vita
religiosa, ma sostanzialmente una forma equivale l'altra come una religione
s'avvicina ad un'altra religione. Questa verità vale purtroppo anche in relazione alle
molteplici confessioni cristiane; le forme religiose anche qui sono varie e sono
diverse, ma praticamente s'incontrano e s'identificano.
Una differenza profonda, una differenza d'essenza non esiste fra le varie
forme di vita religiosa, ma soltanto fra vita religiosa intesa nel senso abusato di
questo termine e vita spirituale. Formalismo ecclesiastico denominato in un modo
o formalismo ecclesiastico denominato in un modo diverso è sempre formalismo
ecclesiastico e le eventuali varietà di metodo o di schemi non possono distruggere
o modificare la sostanza reale della cosa.
Infatti la liturgia di una denominazione si differenzia quasi sempre da quella
di una denominazione diversa, ma quando la liturgia è unicamente formalità
religiosa la differenza è soltanto apparente. Qualche volta anche la dottrina di un
movimento è in conflitto e presenta differenze con la dottrina di un altro movimento,
ma quando la dottrina è soltanto una filosofia religiosa, un'idea astratta, una teoria,
le due dottrine sostanzialmente si equivalgono.
Chiamarsi di un nome o di un altro; appartenere ad un movimento, ad una
chiesa, ad una denominazione non significa affatto vivere una vita spirituale.
Etichette cristiane ce ne sono in notevole quantità e di molteplici colori, ma le
etichette non creano il contenuto del vaso, neanche se sono le etichette più seducenti o
più impegnative. Ricordiamoci che oggi i nomi tendono a trasformarsi in termini
vuoti, privi di significato e noi possiamo incontrare facilmente espressioni come
«cristiano», «evangelico», «santo» che non vengono affatto attribuiti ad uomini o
movimenti cristiani, evangelici o santi. Per questa ragione l'apostolo Paolo ricordava
ai «suoi giorni» che non tutti coloro che si chiamavano israeliti erano veramente
israeliti.
Quindi la vita religiosa spesso è soltanto una falsificazione della vita spirituale.
Si presenta sotto i nomi più impegnativi e con quei nomi vuol far credere di
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possedere le più grandiose e gloriose realtà spirituali, ma purtroppo dietro le
etichette, le denominazioni, gli articoli di fede, presenta soltanto il vuoto più
desolante e l'aridità più opprimente.
Un servo di Dio affermava anni indietro che molti cristiani «non sono più quello
che dicono di essere e non credono più a quello che dicono di credere...» Questi
cristiani vivono una vita religiosa e sono ancora membri di una denominazione, hanno
anche un credo ed una dottrina, ma tutto è falso, tutto è vuoto, tutto è formale,
tutto è esteriore.!”
Che cosa è venuto meno nella loro vita? Che cosa, che cosa ha trasformato la
vita spirituale in vita religiosa?
La risposta non è difficile perché non è difficile individuare la causa del
fenomeno. La chiesa ha dimenticato od ha trascurato un elemento fondamentale
di vita: lo Spirito! La trascuranza ha prodotto la tragica metamorfosi perché un
orciuolo d'olio, un piccolo orciuolo d'olio di riserva può determinare una grande
differenza fra cinque vergini avvedute e cinque vergini stolte o negligenti. Un popolo
religioso. può essere nettamente distinto in rapporto a questo unico trascurato
elemento. La chiesa che possiede l'olio è la chiesa che realmente può accendere la
propria lampada, che realmente è pronta per l'incontro desiderato, che realmente può
entrare nel festino nuziale, ma la chiesa che non possiede il piccolo orciuolo è la chiesa
che soltanto apparentemente vive la sua vita spirituale.
Vita spirituale vuol dire vita con lo Spirito. Lo Spirito suscita, muove, regola la
vita; tutto nasce dallo Spirito, tutto si compie con lo Spirito, tutto ha uno scopo ed un
fine nello Spirito.
Nella vita spirituale infatti il credente trova il proprio principio e la propria
sussistenza, soltanto nello Spirito e perciò dire che sta in comunione con lo Spirito è
dire meno della realtà e dell'esperienza. Lo Spirito ed il credente, od il credente e lo
Spirito cercano e trovano la realizzazione di una compenetrazione che giunga
veramente all'assorbimento dell'umano nel divino. Il credente si muove nelle sfere
dello Spirito; vive nel cielo e siede nel cielo in Colui per il Quale gli sono stati aperti
i tesori del Regno spirituale.
Lo Spirito, in altre parole, diviene per lui veramente il «Paracletos» che è ad
uno stesso tempo, il Difensore, l'Animatore e il Consigliere. Difensore, Animatore,
Consigliere: è utile considerare questi attributi che ci vengono suggeriti dal nome
stesso dello Spirito.
«Difensore»: Nella vita spirituale il credente pone la propria personalità e la
propria professione di fede sotto l'autorità legale dello Spirito Santo; il difensore
divino parla per lui, imposta i programmi di difesa e sviluppa tutti i temi relativi ai
cimenti giudiziari del protetto.
«Animatore»: Lo Spirito Santo solleva, incoraggia, conforta, consola ed il
credente che vive una vita spirituale, non
ha bisogno di altri mezzi per ritemprare le proprie energie perché ha ogni
cosa nello Spirito e dallo Spirito.
«Consigliere»: Il Paracletos suggerisce, guida, consiglia perché il credente, nella
vita spirituale, non ha nessuna reale competenza per agire nelle sfere soprannaturali
e quindi può essere reso idoneo per compiere le sue azioni soltanto dallo Spirito.
Nel linguaggio classico dell'antichità « Paracletos » era il nome dato all'avvocato
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della difesa e cioè a colui che aveva la nobile missione di incoraggiare, consigliare ed
alfine difendere fino al punto di fare propria la causa dell'imputato. Se Cristo ha
promesso l'assistenza dello Spirito presentando lo Spirito stesso con questo nome,
dobbiamo accettare che nella vita cristiana lo Spirito non può essere considerato
un accessorio marginale; i credenti devono ricevere lo Spirito e sottoporre loro stessi
allo Spirito.
Essi sono dei «carcerati», ma hanno un «Paracletos» che è tutto per loro e a
questo difensore celeste affidano la loro vita perché sia guidata, consigliata,
incoraggiata, difesa. Nella vita spirituale quindi lo Spirito è tutto ed il credente è
un debole sottoposto che dipende da Lui e riceve ogni cosa da Lui: dallo Spirito «
riceve » gioia e coraggio, dallo Spirito «dipendono» programmi, parole, azioni e
dallo Spirito soltanto «dipendono» le grandi battaglie e i grandi cimenti. Tutto viene
dalla potenza dello Spirito e si conclude nella potenza dello Spirito.
Può avvenire, qualche volta, che la vita cristiana di una chiesa o di un credente
risulta priva di elementi spettacolari e clamorosi, ma non per questo cessa di essere
vita soprannaturale, cioè vita spirituale. Nelle piccole, come nelle grandi cose, tutto
viene dallo Spirito e porta il segno inconfondibile dello Spirito.
Lo Spirito è tutto; è il fiume stesso della gloria di Dio che porta il credente,
abbandonato ad Esso, come un fragile detrito e lo porta verso le sponde eterne della
luce e della verità.
La vita spirituale si differenzia dalla vita religiosa per le condizioni che impone ed
è utile ricordare che la sottomissione a queste condizioni è indispensabile per poter
vivere fuori dalle vane forme religiose. Non si può vivere una vita spirituale, infatti, se
non si possiede lo Spirito e se manca un amore ardente per lo Spirito.
Ma c'è anche un'altra condizione fondamentale posta per poter vivere una reale
vita spirituale e questa è la santificazione, cioè la separazione dal peccato, la
separazione dal mondo, la separazione dalla natura umana.
Il mondo è uno dei più fieri nemici dello Spirito perciò è scritto che «chi si vuole
rendere amico del mondo si rende nemico di Dio». Dove il mondo è accolto, lo Spirito
è espulso e quindi nessuno può vivere una vita spirituale e mantenere comunione con
il mondo.
Quando la Scrittura ci parla del «mondo» presenta davanti a noi il quadro di tutte
le cose che possono rappresentare un antagonismo con lo Spirito: «il presente
secolo» «mammona», «la superbia della vita», «la vanità e la gloria umana»,
«la moda ed i facili piaceri». Il mondo contiene tutte queste cose e tutte queste
cose fanno il mondo. Avere relazione e comunione con queste cose significa escludere
lo Spirito dalla propria vita perché queste cose e lo Spirito sono in perenne
conflitto.
La vita spirituale si è rarefatta nel seno della cristianità, proprio in conseguenza
della tragica circostanza che il mondo è entrato nelle chiese, nelle case e nella vita dei
cristiani. E' difficile incontrare credenti che sappiano resistere agli allettamenti della
moda o alla tentazione delle ricchezze; è difficile che le consuetudini del mondo e che i
piaceri del mondo siano oggi banditi come pericolose manifestazioni, dalla chiesa del
Signore. Il mondo vive nella chiesa e la chiesa non vive più nello Spirito, ma assieme
al mondo.
La vita religiosa invece si può vivere anche assieme al mondo; è possibile
conciliare, accordare i più diversi elementi perché in fondo la vita religiosa è una
creazione umana e, come tutte le creazioni umane, non conosce regole fisse e leggi
stabili, ma tutto viene sistemato mediante una legge di adattamento e di opportunità.
Vita spirituale vuol dire separazione, separazione dal mondo ed anche
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separazione dal peccato e dalla natura umana; il male, l'orgoglio, la presunzione, la
saggezza umana, la prudenza terrena, la diligenza ed il fervore umano sono tutti
elementi contrari allo Spirito. Questi elementi possono esistere ed esistono in larga
misura nella vita religiosa, ma non possono esistere e sono incompatibili con la vita
spirituale.
Possiamo incontrare uomini molto religiosi, molto ferventi, molto zelanti; uomini
sempre attivi, sempre pronti per compiere opere ecclesiastiche... che non hanno il più
piccolo grado di spiritualità. Sono guidati da loro stessi, ispirati dalla propria mente,
stimolati dal proprio zelo naturale; essi sono gli avversari più decisi dello Spirito o
almeno sono tanto ostili allo Spirito quanto quelli che vivono e si corrompono nei
peccati della loro carne.
Lo Spirito esige una sottomissione che sia un arrendimento totale, un'umiltà che
sia annichilimento completo. Lo Spirito vuole essere amato, cercato, invocato e non
può quindi benedire la vita di coloro che non hanno tempo o non sentono il bisogno di
cercarLo continuamente; si può affermare che nella vita religiosa esiste un assurdo: si
prega senza cercare lo Spirito; non soltanto manca la guida e l'intervento dello Spirito
nella preghiera, ma manca anche l'invocazione dello Spirito a mezzo della preghiera.
Preghiere formali, meccaniche, che fanno parte di un bagaglio di vanità perché
costituiscono l'ipocrita vestimento di un popolo che vuole apparire spirituale mentre è
soltanto religioso nel senso più superficiale di questo termine abusato.
L'antitesi fra queste due diverse ed opposte forme di vita appare quindi come un
fenomeno interiore; all'esterno, ove esistono le manifestazioni visibili, può anche
presentare un'identità di fisionomia, ma all'interno, nella sede dei sentimenti e delle
realtà spirituali, il contrasto si delinea in tutta la sua vivacità. E' vero, ripetiamo, le
due forme di vita possono manifestare delle somiglianze esteriori, ma non possono
mai conciliare la divergenza che nasce dal fatto che l'una è suscitata dallo Spirito, è
alimentata dallo Spirito, è controllata dallo Spirito e si evolve e si sviluppa nella
volontà dello Spirito, mentre l'altra raggiunge i suoi effetti esclusivamente con i mezzi
e gli stimoli di una causa naturale od umana.
E' ovvio che la differenza sostanziale non esiste soltanto in relazione all'uomo e al
tempo, ma esiste anche in relazione a Dio e all'eternità. La vita religiosa non è gradita
a Dio e non è approvata da Dio; la vita religiosa non produce frutti che rimangano per
l'eternità.
La vita spirituale invece è la vita stessa dello Spirito e perciò è la vita di Dio, la
vita benedetta in Dio, la vita glorificata oltre il tempo, nell'eternità.
Quest'ultima considerazione dovrebbe bastarci per misurare con lo sguardo della
fede l'abisso che separa la vita religiosa dalla vita spirituale. A che vale professare una
confessione di fede e vivere una regola ecclesiastica se questi elementi non conducono
la nostra anima verso Dio e verso la gloria?
Perché questa distanza abissale possa apparire chiaramente a tutti, desideriamo
ripetere i termini del problema o definire ancora le caratteristiche del fenomeno
affinché la conclusione possa dare enfasi a quanto esposto precedentemente.
Affermiamo: La vita religiosa è quel genere di vita manifestata da quelle
organizzazioni ecclesiastiche o da quegli individui religiosi che posseggono tutti gli
elementi esteriori del servizio, del culto, della dottrina, senza possedere però lo Spirito
o, meglio ancora, senza essere posseduti dallo Spirito.
La vita spirituale invece è la vita dell'organismo cristiano: « la chiesa ». E' una
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vita che trova la sua causa ed i suoi effetti nello Spirito. Non c'è servizio all'infuori di
quello voluto e guidato dallo Spirito; non c'è culto oltre quello suscitato e reso dallo
Spirito; non ci sono azioni, non ci sono parole, non ci sono programmi ispirati da
calcoli umani, saggezze umane, prudenze umane: tutto nasce dallo Spirito, si muove
nello Spirito, si conclude in Dio.
Per questa ragione vita religiosa possiamo incontrarne in larga misura, perché
l'uomo «nell'idolatrare se stesso» ha saputo approfittare anche del piedistallo della
religione, ma vita spirituale non può, non potrà mai essere trovata in abbondanza
perché essa esiste soltanto dove la personalità umana è stata sconfitta dalla reale
potenza della grazia di Dio, e dove lo Spirito può manifestare la Sua presenza in
maniera sovrana.
Roberto Bracco.

sabato 17 dicembre 2011

Il nemico - Lo 'straordinario'


Il nemico - Lo 'straordinario'


«Avete udito che fu detto: 'Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico', ma io vi dico: 'Amate i vostri nemici, benedite quelli che vi maledicono, fate del bene a quelli che vi odiano e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli, perché egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Se infatti amate quelli che vi amano, quale premio meritate? Non fanno forse lo stesso anche i pubblicani? E se salutate solo i vostri fratelli, che cosa fate di più? Non fanno forse lo stesso anche i pagani? Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste'». (Mt.5,43-48).
Qui per la prima volta nel sermone sul monte viene pronunciata la parola che sintetizza tutto quanto precede: amore, e subito nell'inequivocabile precisazione di amore per il nemico. Amare il fratello sarebbe un ordine che si può facilmente fraintendere; amare il nemico esprime con chiarezza inequivocabile ciò che vuole Gesù.
Il nemico, per i discepoli, non era un concetto senza senso preciso. Lo conoscevano bene, lo incontravano ogni giorno. C'erano uomini che li maledicevano come distruttori della fede e trasgressori della legge; c'erano quelli che li odiavano, perché, per amore di Gesù, avevano abbandonato tutto, disdegnavano tutto per amore della comunione con Cristo; c'erano quelli dai quali venivano oltraggiati e scherniti a causa della loro debolezza e umiltà; c'erano i persecutori che sospettavano nelle schiere dei discepoli dei rivoluzionari e cercavano di annientarli. Il vero nemico era dunque dalla parte dei rappresentanti della religiosità popolare, che non poteva sopportare la pretesa di Gesù che rivendicava ogni diritto solo per sé. Egli godeva di potere e di considerazione. L'altro nemico, al quale pensava ogni ebreo, era il nemico politico, era Roma. Anche questo era fortemente sentito come oppressore. Accanto a questi due gruppi di nemici c'erano i nemici personali, che si oppongono a quelli che non camminano per la strada della maggioranza, cioè la quotidiana calunnia, il disprezzo, le minacce.
Nell'Antico Testamento non c'è veramente nessun passo che comandi di odiare il nemico; anzi è comandato l'amore per il nemico (Es. 23,4 s.; Pv. 25,21 s.; Gen. 45,1 ss.; 1 Sam. 24,7; 2 Re 6,22 e passim). Ma Gesù qui non parla di inimicizie naturali, bensì dell'inimicizia del popolo di Dio per il mondo. Le guerre di Israele erano le uniche guerre 'sante' esistenti al mondo. Erano le guerre di Dio contro il mondo degli idoli. Gesù non condanna questa inimicizia, se no dovrebbe condannare tutta la storia di Dio con il suo popolo. Anzi, Gesù conferma l'Antico Patto. Anche a lui importa solo la vittoria sui nemici, la supremazia della comunità di Dio. Ma con il suo comandamento egli toglie di nuovo la schiera dei suoi discepoli dalla struttura politica del popolo di Israele. Non esistono più guerre di religione, Dio ha affidato la promessa della vittoria sul nemico all'amore per il nemico.
L'amore per il nemico è uno scandalo insopportabile non solo per l'uomo naturale. È superiore alle sue forze, urta contro il suo concetto di bene e male. Più importante è che l'amore per il nemico pare anche all'uomo che vive sotto la legge di Dio un peccato contro la legge di Dio: la legge pretende la separazione dal nemico e la sua condanna. Ma Gesù prende nelle sue mani la legge di Dio per interpretarla. Vincere il nemico mediante l'amore per il nemico, questa è la volontà di Dio nella sua legge.
Nel Nuovo Testamento il nemico è sempre colui che nutre inimicizia per me. Gesù non ammette nemmeno la possibilità che ci sia qualcuno verso il quale il discepolo possa nutrire inimicizia. Ma al nemico spetta ciò che spetta al fratello, l'amore del seguace di Gesù. L'atteggiamento del discepolo non deve essere determinato dall'atteggiamento degli uomini, ma da ciò che Gesù ha fatto per lui; perciò esso deriva solo da una sorgente, dalla volontà di Gesù.
Qui si parla del nemico, dunque di colui che rimane nemico anche di fronte al mio amore; che non mi perdona nulla, anche quando io gli perdono tutto; che mi odia quando io lo amo; che mi oltraggia tanto più quanto più io lo servo. «Mi hanno mosso accuse in cambio del mio amore, mentre io non faccio che pregare» (Sal.109,4). Ma l'amore non deve chiedere se viene corrisposto; anzi, cerca colui che ha bisogno di amore. Ma chi ha più bisogno di amore di colui che vive lui stesso privo di amore, nell'odio? E chi dunque è più degno del mio amore se non il mio nemico? Dove l'amore viene lodato maggiormente che in mezzo ai suoi nemici?
L'amore non fa nessuna distinzione di qualità fra i vari nemici, se non che, quanto più il nemico mi è nemico, tanto più c'è bisogno del mio amore. Sia che si tratti del nemico politico sia di quello religioso, non ha da aspettarsi altro dal discepolo di Gesù che amore indiviso. Questo amore anche in me stesso non conosce dissidio tra me come persona privata e me come pubblico funzionario. lo non posso che essere uno, in ambedue le situazioni, cioè seguace di Gesù Cristo, o non lo sono affatto. Mi si chiede come agisce questo amore? Gesù lo dice: benedice, fa del bene, prega, senza condizioni, senza riguardo per la persona.
«Amate i vostri nemici». Mentre nei comandamenti precedenti si parla solo di subire il male senza difendersi, qui Gesù va molto oltre. Non dobbiamo solo sopportare il male e il malvagio, non solo non ricambiare la percossa con una percossa, ma dobbiamo nutrire sentimenti di sincero amore per il nostro nemico. Dobbiamo servire il nemico con sentimenti puri e senza ipocrisia ed aiutarlo in ogni cosa. Nessun sacrificio che un amante farebbe per l'essere amato può essere troppo grave e troppo prezioso per il nostro nemico. Se per amore verso il fratello dobbiamo essere pronti a sacrificare i nostri beni, il nostro onore, la nostra vita, siamo altrettanto debitori di tutte queste cose al nostro nemico. Ma non ci rendiamo, in questo modo, partecipi della sua malvagità? No, come potrebbe l'amore che non è nato da debolezza, ma da forza, che non proviene da paura, ma dalla verità, rendersi colpevole dell'odio dell'altro? E a chi si dovrebbe rivolgere questo amore se non a colui il cui cuore soffoca nell'odio?
«Benedite quelli che vi maledicono». Se ci colpisce la maledizione del nemico perché egli non può sopportare la nostra presenza, noi dobbiamo alzare le mani per benedire: voi, nostri nemici, voi i benedetti del Signore, la vostra maledizione non ci ferisce; possa la vostra povertà essere colmata con la ricchezza di Dio, con la benedizione di colui contro il quale voi vi ostinate inutilmente. Vogliamo senz' altro portare la vostra maledizione, purché voi riceviate la benedizione.
«Fate del bene a quelli che vi odiano». Non dobbiamo fermarci alle belle parole e a pensieri. Si fa del bene in tutte le cose della vita quotidiana. «Se il tuo nemico ha fame dagli da mangiare, se ha sete dagli da bere» (Rom. 12,20). Come un fratello assiste il fratello nelle sue necessità, gli fascia le ferite, gli lenisce i dolori, così il nostro amore agisca verso il nemico. Dove si trova nel mondo miseria più profonda, ferite e dolori più gravi che presso il nemico? Dove è più necessario e più bello fare del bene che al nemico? «Il donare rende più felici che il ricevere».
«Pregate per quelli che vi perseguitano». Ecco l'estrema pretesa. Nella preghiera ci poniamo accanto al nemico, al suo fianco, siamo con lui, presso di lui, per lui davanti a Dio. Gesù non ci promette che il nemico, che amiamo e benediciamo, non ci offenderà e perseguiterà. Lo farà senz'altro. Ma anche in questo non ci può nuocere né vincere, se noi facciamo l'ultimo passo verso di lui nella preghiera di intercessione. Così prendiamo su di noi la sua povertà e miseria, la sua colpa e perdizione, e intercediamo per lui presso Dio. Facciamo in sua vece per lui quello che lui non può fare. Ogni offesa del nemico ci stringerà solo maggiormente a Dio e al nostro nemico. Ogni persecuzione può solo servire ad avvicinare il nemico maggiormente alla riconciliazione con Dio, a rendere più invincibile l'amore. Come diviene invincibile l'amore? Perché non chiede mai quale male fa il nemico, ma solo che cosa ha fatto Gesù. L'amore per il nemico conduce il discepolo sulla via della croce e nella comunione con Cristo crocifisso. Ma quanto più il discepolo viene spinto su questa via, tanto più invitto resta il suo amore, tanto più sicuramente vince l'odio del nemico; infatti non è il suo proprio amore, ma solo e del tutto l'amore di Gesù Cristo che salì sulla croce per i suoi nemici e sulla croce pregò per loro. Ma di fronte alla via della croce di Gesù Cristo anche i discepoli riconoscono che loro stessi facevano parte dei nemici di Gesù, che sono stati vinti dal suo amore. Questo amore apre gli occhi al discepolo, così che nel nemico riconosce il fratello, tanto che agisce verso di lui come verso suo fratello. Perché? Perché lui stesso vive solo dell'amore di colui che ha agito verso di lui come verso un fratello, che lo ha accettato quand'era nemico e lo ha attirato nella sua comunità come il suo prossimo. L'amore apre gli occhi al seguace, così che vede che anche il nemico è incluso nell'amore di Dio, vede il nemico sotto la croce di Gesù Cristo. Dio nei miei riguardi non badò a bene o male, perché anche il mio bene davanti a lui era empio. L'amore di Dio cercò il nemico che ne ha bisogno, che egli considera degno di essere amato. Dio glorifica il suo amore nel nemico. Il seguace lo sa. Per opera di Gesù egli ha avuto parte a questo amore. Perché Dio fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Ma non si tratta solo del sole terreno o della pioggia terrena che sorgono sui buoni e sui cattivi, si tratta anche del «sole della giustizia», di Gesù Cristo stesso, e della pioggia della Parola divina, che manifesta la grazia del Padre celeste che scende sui peccatori. L'amore indiviso, perfetto è l'azione del Padre, è anche l'azione dei figli del Padre celeste, come fu l'azione del Figlio unigenito.
«I comandamenti dell'amore del prossimo e del divieto di vendetta, nella lotta per Dio a cui andiamo incontro e nella quale, in parte, ci troviamo già da anni, avranno un posto preminente lì dove da una parte combatte l'odio, dall'altra l'amore. Ogni animo cristiano deve prepararvisi urgentemente e seriamente. Si sta avvicinando il tempo in cui ogni uomo che confessa il Dio vivente, a causa di questa confessione sarà non solo oggetto di odio e di rabbia - a questo punto siamo infatti più o meno già arrivati - ma solo a causa di questa confessione lo si espellerà dalla cosiddetta 'società umana', lo si caccerà da luogo a luogo, lo si aggredirà letteralmente, lo si maltratterà e, a seconda dei casi, lo si ucciderà. Si sta avvicinando una persecuzione cristiana generale, e questo è in realtà il vero senso di tutti i movimenti e di tutte le lotte del nostro tempo. Gli avversari, intenti alla distruzione della chiesa cristiana e della fede cristiana, non possono vivere assieme a noi, perché vedono in ognuna delle nostre parole e in ogni atto, anche in quello che non è affatto indirizzato contro di loro, una condanna delle loro parole e dei loro atti, e non a torto; e intuiscono che a noi non importa affatto la condanna che essi esprimono contro di noi, perché devono ammettere loro stessi che questa condanna non ha nessun potere e nessun valore, e che perciò non ci troviamo affatto, come loro invece desidererebbero, in stato di 'guerra' e di dissidio con loro. E come condurre questa lotta? Si avvicina il momento che non alziamo più le mani in preghiera come uomini singoli e isolati, ma tutti insieme come comunità, come chiesa, così che confessiamo ad alta voce in schiere, se anche relativamente poco numerose in mezzo alle migliaia e migliaia di apostati, il Signore che è stato crocifisso ed è risorto e che ritornerà e lo glorifichiamo. Che preghiera, che confessione, che inno di lode? È appunto una preghiera di amore sincero proprio per questi uomini perduti che ci circondano e ci guardano con occhi torvi e pieni di odio, che forse hanno già alzato le mani per il colpo mortale contro di noi; è la preghiera per la pace per queste anime confuse e turbate, sconvolte e distrutte, una preghiera per quello stesso amore e per quella stessa pace di cui noi godiamo; una preghiera che penetrerà profondamente nelle loro anime e tirerà il loro cuore con una presa molto più forte di quanto non sia la presa di tutti gli sforzi del loro odio sul nostro cuore. Sì, la chiesa, che veramente attende il suo Signore, che veramente comprende il tempo con i segni della separazione definitiva, deve dedicarsi anche con tutte le forze della sua anima, con tutte le forze della sua vita santa a questa preghiera dell'amore» (A.F.C. Vilmar 1880).
Che cos'è amore indiviso? Amore che non si volge con parzialità verso quelli che ricambiano il nostro amore. Nell'amore per quelli che ci amano, per i nostri fratelli, per il nostro popolo, per i nostri amici, e anche per la nostra comunità cristiana non ci distinguiamo dai pagani e dai pubblicani. Esso è un sentimento naturale, regolare, ma non è affatto il sentimento cristiano per eccellenza. Sì, è davvero «la stessa cosa» che qui fanno cristiani e pagani. L'amore che mi lega a consanguinei, connazionali o amici è lo stesso presso pagani e cristiani. Gesù non ha da dire molto di questo amore. Gli uomini sanno da sé che cos'è. Non occorre nemmeno che Gesù lo susciti, lo metta in rilievo, lo sottolinei. Le realtà naturali si acquistano il loro riconoscimento da sé, tanto presso i pagani quanto presso i cristiani. Non occorre che Gesù inciti ad amare il fratello, il popolo, gli amici; è cosa che va da sé. Ma proprio perché semplicemente lo costata e non vi perde altra parola, mentre invece comanda solo di amare il nemico, egli dice che cosa significa per lui amore e che cosa si deve pensare di quell'amore.
In che cosa il discepolo si distingue dal pagano? in che cosa consiste il «fattore cristiano?». A questo punto vien detta la parola alla quale tende tutto il quinto capitolo, nella quale è riassunto tutto quanto è stato detto prima: il fattore cristiano, lo 'straordinario', il perisson , l'eccezionale, ciò che non è naturale. È ciò che 'supera' i farisei in una «giustizia maggiore», il di più, ciò che va oltre. La cosa naturale è to auto (la medesima cosa) per pagani e cristiani, il fattore cristiano incomincia con il perisson e alla luce di questo anche ciò che è naturale acquista il giusto rilievo. Dove non c'è questo fattore singolare, straordinario, non c'è nulla di cristiano. L'azione cristiana non viene all'interno delle situazioni naturali, ma nell'andare al di là di esse. Il perisson non viene mai assorbito dal to auto. È il grave errore di una etica protestante malintesa che l'amore per Cristo si esprima nell'amar di patria, nell'amicizia o nella professione, che la giustizia maggiore si esprime nella iustitia civilis. Gesù non dice così. Il fattore cristiano è legato allo 'straordinario'. Perciò il cristiano non può adeguarsi al mondo, perché deve badare al perissoÇn.
In che consiste il perisson, lo straordinario? È l'esistenza di quelli che vengono detti beati, dei seguaci di Gesù; è la luce che splende, la città sul monte, è la via della rinunzia al proprio io, dell'amore totale, della totale purezza, della totale verità, della totale non-violenza; è l'amore indiviso per il nemico, l'amore per quello che non ama nessuno e che nessuno ama; l'amore per il nemico religioso, politico, personale. È in tutto ciò la via che ha trovato il suo completamento nella croce di Gesù Cristo. Che cos'è il perisson ? È l'amore di Gesù. stesso, che, soffrendo e obbedendo sale sulla croce, è la croce. Lo straordinario del fattore cristiano è la croce, che fa sì che il cristiano vada al di là del mondo e gli dà così la vittoria sul mondo. La passio nell'amore del Cristo crocifisso - ecco lo «straordinario» dell'esistenza cristiana. Lo straordinario è senza dubbio il fattore visibile per il quale il Padre celeste viene glorificato... Non restare nascosto. La gente deve vederlo. La comunità dei seguaci di Gesù, la comunità della giustizia maggiore è una comunità visibile, uscita dalle istituzioni terrene; ha abbandonato tutto per guadagnare la croce di Cristo.
Che fate di singolare? Lo straordinario - ed è ciò che scandalizza - è un' azione dei seguaci. Deve essere messo in pratica - come la giustizia maggiore - fatto in modo visibile. Non nel rigore etico, non in eccentrici modi di vivere, ma nella semplicità dell'obbedienza cristiana alla volontà di Gesù. Questo modo di agire si dimostrerà 'singolare' per il fatto che conduce nella passio cristiana. Questo stesso modo di agire è un continuo subire. In esso Cristo viene sofferto dai suoi discepoli. Se non lo è, non è questo modo di agire che intende Gesù.
Il perisson , dunque, è l'adempimento della legge, l'osservanza dei comandamenti. In Cristo crocifisso e nella sua comunità lo 'straordinario' diviene evento.
Qui si trovano i perfetti che sono perfetti nell'amore indiviso come il loro Padre celeste. È stato l'amore indiviso perfetto del Padre che diede il Figlio a morire sulla croce, perciò la perfezione dei discepoli sta nella disponibilità a soffrire questa croce. I perfetti non sono altri che quelli che sono chiamati beati.


Dietrich Bonhoeffer
Sequela

domenica 11 dicembre 2011


NATALE MAGICO

O...MAGICO NATALE?

Introduzione
Dicembre, un mese particolare per la cristianità, un periodo di tempo nel quale, apparentemente, la gente è più buona, più unita, più cristiana. Ma é proprio così?
Oltre a ciò tutti i genitori credenti, legati fedelmente alla Parola di Dio, hanno più o meno trovato difficoltà a spiegare ai propri figli, l'assenza nella loro casa dell'albero di Natale, del presepe e di addobbi vari. Le stesse difficoltà hanno incontrato gli adolescenti parlando con i loro amici o le loro amiche di scuola o il giovane nel mondo del lavoro o il neofita da poco "nato di nuovo" o il monitore e la monitrice della Scuola Domenicale.
Ecco il perché del presente studio che spero sia utile a tutti noi per annunciare al mondo che Gesù é "venuto per cercare e salvare l'uomo dal peccato".
NATALE MAGICO O...MAGICO NATALE?
"Guardate dunque con diligenza a come vi comportate; non da stolti, ma da saggi; ricuperando il tempo perché i giorni sono malvagi. Perciò non agite con leggerezza, ma cercate di ben capire quale sia la volontà del Signore" (Efesini 5:15-17).

Vi pongo una domanda interessante: che cosa sapete sulle origini dell'albero di Natale, di Babbo Natale, dell'uso del vischio e del costume di scambiarsi dei doni? Milioni di bambini di tutto il mondo, ogni anno, imparano a decorare l'albero di Natale con palline colorate, nastri argentati e dorati, candeline e fiocchi di neve.
La notte di Natale questi bambini vegliano fino a mezzanotte, cantando inni e canzoni natalizie, per poi andare a letto e sognare "Babbo Natale" che viene con la slitta ed entra dal camino per riempire il pavimento intorno all'albero di doni per tutti.
Naturalmente nessuno di questi bambini si chiede il perché di questi ed altri costumi associati col Natale! Quasi tutti li accettano così come sono loro insegnati dai loro genitori, dandoli per scontati. Non avete fatto lo stesso anche voi?

Purtroppo pochissimi si fermano a riflettere sul perché essi credono in certe cose, perché seguono determinati costumi o da dove vengono le loro tradizioni! Noi siamo nati in un mondo pieno di tradizioni, usanze e costumi e siamo cresciuti accettandoli senza riflettere o discutere. Questo perché per natura tendiamo a seguire la folla, sia nelle cose giuste che in quelle sbagliate.
Le pecore seguono il gregge al macello, ma gli esseri umani dovrebbero fermarsi e controllare dove stanno andando!
Domandiamoci allora: Come e quando ebbe origine il Natale? Le feste natalizie celebrano veramente la nascita di Gesù? È proprio vero che Gesù nacque il 25 Dicembre? Gli apostoli originari, che conobbero Gesù personalmente e furono istruiti da Lui, celebrarono il Suo compleanno il 25 Dicembre? Perché a Natale la gente si scambia dei doni con i parenti e gli amici? Forse perché i Magi presentarono dei doni a Gesù bambino?
Le risposte potrebbero sorprendervi. Fatto sta che la maggior parte della gente suppone molte cose circa il Natale, che non sono vere. Ma smettiamo di supporre e cerchiamo i fatti!
LA STORIA DEL NATALE: SACRO E PROFANO IN... INTIMITÀ

In una rivista italiana l'autrice di un articolo, Alma Lanzani, scrive: "Il Natale così come lo viviamo in questi ultimi anni, non é poi molto diverso dalle antiche feste pagane che lo hanno generato". Ella ha perfettamente ragione
NATALE: UNA FESTA
La festa in senso generale

1. Il significato

La parola festa designa un momento diverso da tutto il resto del tempo nel quale, l'esperienza del sacro si fa particolarmente commovente e immediata ed in cui è facile per l'uomo indagare su realtà di per sé non facilmente sperimentabili.

2. La festa religiosa pagana
Le feste e le solennità scandiscono i ritmi e i momenti salienti della vita sociale nell'antichità. Quasi sempre la loro origine è religiosa, anche se non mancano i riferimenti alla vita quotidiana. In ogni sfera della natura o della vita professionale, in tutte le situazioni della vita fuori del comune, gli uomini rendevano omaggio a dei innumerevoli col dono della festa.

Presso il mondo greco-romano
C'era in questa cultura una quantità d'eventi che erano sottratti alla normalità quotidiana e messi in risalto con la celebrazione di feste. Ricordiamo il cambio di stagione e i momenti culminanti della vita agricola come la semina e il raccolto (feste della fecondità) e gli avvenimenti principali della vita familiare e quelli che sottolineavano i rapporti del singolo con la comunità (per esempio le feste della famiglia e della stirpe). Queste feste furono, comunemente, collegate con determinate divinità e spesso chiamate col loro nome. Esistevano feste locali, paragonabili alle attuali feste patronali e feste che coinvolgevano tutta la nazione. La serie di questi periodi festivi abbracciava tutto l'anno con ritmi assai frequenti presso i romani, un terzo dei giorni dell'anno e tutte le sfere dell'attività umana. Preparata da digiuni, abluzioni e mutamento d'abiti, la festa era celebrata con canti e preghiere, musiche e danze, processioni, sacrifici, competizioni sportive, giochi e gare d'ogni genere. Alla festa si accompagnavano mercati e fiere. Durante la festa si favoriva l'aspetto materiale su quello spirituale, con banchetti e pratiche sfrenate, soprattutto nel culto al dio Dionisio.

Presso i popoli dell'antica Palestina
L'antica cultura agraria e cittadina di Canaan possedeva una grande quantità di culti in onore a numerose divinità (per ricordarne alcuni: El, Dagon, Baal, Astarte, Ashera, oltre alle divinità egiziane e assiro-babilonesi). Questi culti erano pieni di riti della fertilità, che esaltavano la sessualità, elevandola a dignità religiosa. I libri dei Re ci parlano del fascino irresistibile che questi culti avevano esercitato sul popolo d'Israele. In questa prospettiva le principali feste tradizionali che si svolgevano nel ciclo dell'anno, si accordavano perfettamente col ritmo della natura e dei suoi inspiegabili misteri.

Presso il popolo d'Israele
Le feste dell'Eterno (la festa del sabato, la festa dei pani azzimi, la festa della mietitura, la festa delle capanne o della raccolta) come ce le presenta il capitolo 23 del libro del Levitico, erano dei giorni solenni, cioè dei periodi di tempo fissati per avvicinarsi a Dio e per presentare dei sacrifici. Nel pensiero divino esse non erano feste del popolo, ma "i miei giorni solenni" dice l'Eterno, messi a parte per il Signore e per la sua gloria. A differenza delle feste pagane quelle israelite erano caratterizzate dalle seguenti proibizioni: prostituzione cultuale (Deuteronomio 23:18), sacrifici umani, contaminazione con i morti, consumo di bevande alcoliche, rapporti sessuali durante il culto. Anche i pagani erano fortemente impressionati dall'austera severità con cui i giudei sapevano disciplinare virtuosamente le loro passioni, accedere a Dio nel santuario con sacrifici e preghiere.
QUAL È IL SENSO DELLA FESTA CRISTIANA?
Ritorniamo per un attimo a considerare le feste ebraiche. Esse, indipendentemente dal loro valore storico e da come sono state effettivamente celebrate in Israele, erano una prefigurazione della salvezza che doveva venire con il Messia Gesù Cristo (Colossesi 2:16,17).
Il credente non deve più celebrare delle feste rituali (Galati 4:8-10; Ebrei 10:12-14), perché ormai ha tutto pienamente in Cristo. Egli, essendo la vera ed unica propiziazione (1Giovanni 2:2), ha riconciliato gli uomini con Dio mediante la sua morte espiatrice. A coloro che credono in Lui ha dato un patto più eccellente del primo fatto di riti e liturgie (Ebrei 7:15-22; 8:6).
COME È NATA LA FESTA DEL NATALE?

Con lo scopo di contrapporre una celebrazione cristiana a quelle pagane. Il 17 Dicembre si celebravano i Saturnali, mentre il 25 Dicembre era molto sentita la celebrazione del "Dies natalis Solis invicti", festa istituita dall'imperatore Aureliano nel 274 d.C. Sempre nella stessa data i fedeli del dio Mitra celebravano la festa del loro dio, nato dalla pietra e portatore della nuova luce: "Genitor luminis". La sera del 24 Dicembre i mitraisti e molti altri che li imitavano, accendevano dei fuochi per aiutare il sole a salire più in alto sopra l'orizzonte. L'unione del culto ufficiale del "Sol Invictus" con la religione mitraica era molto importante nell'ambito dell'aristocrazia romana.
Costantino, primo imperatore cristiano, in un intento tanto politico che religioso, volle realizzare una sorta di simbiosi fra il culto ufficiale del Sole, in cui era stato allevato e da cui si diceva protetto, il culto di Mitra e il cristianesimo che si presentava come la religione del futuro. È sotto il suo regno che appare la festa del Natale. Tutte le omelie (predicazioni) cristiane che rimangano su questo giorno di Natale, insistono sul fatto che "Cristo è il nostro nuovo sole".

Così la festa di Natale raggiunse, sdoppiandola, la festa della luce già celebrata dalle Chiese d'Oriente. Roma, assai presto, si è sforzata di imporre questa festa della natività a tutto l'impero. Fu introdotto nei principali centri della cristianità in anni diversi. Nella città di Cappadocia nel 373 d.C. da Gregorio di Nissa; nel 383 d.C. ad Antiochia da Gregorio di Nazianzo; ad Alessandria intorno al 400 d.C.
Nel corso del IV secolo questa data andò acquistando credito, ma le feste pagane di questi uomini erano troppo radicate nel costume popolare per essere abolite dall'influenza del Cristianesimo. La festa pagana, con le sue baldorie e gozzoviglie, era talmente popolare per i "cristiani" che furono ben contenti d'aver trovato una giustificazione per perpetuare la celebrazione con pochi cambiamenti sia nello spirito, sia nell'usanza (N.b. per cristiani, non si deve intendere i veri seguaci di Cristo, ma coloro che una volta erano pagani e dopo la simulata conversione di Costantino, accettarono la nuova religione di stato: il Cristianesimo).
Così per quei pagani che si convertivano al cristianesimo si trovò la motivazione necessaria per cominciare a considerare la loro festa pagana del 25 Dicembre (giorno Natale del dio sole), come se fosse il giorno Natale del Figlio di Dio. Questi popoli, però, erano cresciuti in un mondo pieno di costumi pagani con i suoi divertimenti, le sue baldorie e le gozzoviglie che non volevano abbandonare assolutamente!

Fu così che il Natale s'infiltrò gradatamente nel mondo occidentale. Possiamo chiamarla o definirla come vogliamo ma rimane sempre la vecchia festa pagana in onore del dio Sole! L'unico cambiamento sta nel fatto che lo chiamiamo il Natale di Gesù anziché "Natale dell'invincibile Sole". Noi possiamo chiamare un coniglio con il nome di leone, ma sempre coniglio rimane.
In seguito, per questa data del 25 Dicembre, i falsi ministri di Dio fecero fare dagli artefici delle piccole sculture di gesso o d'altra materia e tra queste una raffigurante il "Bambino Gesù"...così questi falsi dottori portarono un piccolo simulacro alla bocca degli uomini per farlo baciare, dando falsamente a credere che rappresentasse il bambino Gesù. La Parola di Dio ormai non aveva alcun valore: "Da ora in poi, noi non conosciamo più nessuno da un punto di vista umano; e se anche abbiamo conosciuto Cristo da un punto di vista umano, ora però non lo conosciamo più così" (2Corinzi 5:16).
IL NATALE ALLA LUCE DELLA STORIA:
FONTI EXTRABIBLICHE
La nascita di Gesù non viene certamente dal Nuovo Testamento, né da nessun'altra parte della Bibbia. L'Enciclopedia Italiana Treccani, edizione 1949, lo afferma chiaramente nei seguenti termini: "I padri dei primi secoli non sembrano aver conosciuto una festa della natività di Gesù Cristo...La festa del 25 Dicembre sarebbe stata istituita per contrapporre una celebrazione cristiana a quella Mitriaca del dies natalis Solis invicti (Giorno natalizio dell'invincibile Sole), nel solstizio invernale" (Vol. XXIV. pag. 299).
Sempre nella stessa enciclopedia leggiamo: "La festa del Natale, quindi, proviene da una celebrazione in onore del dio Sole del mitraismo, una religione pagana che perpetuava lo spirito dell'antica religione babilonese, che "a partire dalla fine del sec. I d.C. s'introdusse in Italia (Capua, Ostia) e in Roma, quindi in tutto l'Occidente, specie nelle province nordiche di confine...dove lo propagarono le guarnigioni militari, fra le quali il mitraismo trovò i suoi adepti più numerosi e fedeli. Il momento più splendido del mitraismo fu la fine del sec. III e il principio del IV, quando esso s'identificò in un certo qual modo con la religione orientale del Sole, assunta a religione ufficiale dello stato romano" (Vol. XXIII. pag. 483).
"Fu proprio durante la più grande espansione del mitraismo, come religione ufficiale dello stato romano che il Natale cominciò ad essere osservato nella stessa data in cui il mitraismo celebrava il natalizio del dio Sole, sotto l'imperatore Aureliano 270-275 d.C. che diede molta importanza al culto del sole e, nel 274 d.C. dichiarò il 25 Dicembre il natalizio del Sole Invitto. Il Natale e l'Epifania furono due feste che, non attestate nel sec. I della chiesa, cominciarono ad apparire vagamente nei sec. II e III; nel corso del sec. IV, in una data che non si può precisare, cominciarono ad essere celebrate dappertutto" (Vol. XIV. pag. 63).

Poiché la celebrazione del Natale è stata introdotta nel mondo cristiano dalla Chiesa Cattolica Romana, esaminiamo cosa dice l'enciclopedia Cattolica, edizione inglese, 1911. Alla voce Natale ("Christmas"), si può leggere: "Il Natale non fu tra le prime feste della Chiesa... la prima evidenza di questa festa, venne dall'Egitto...I costumi pagani che si raggruppavano intorno alle calende di Gennaio, gravitarono intorno al Natale". Nella stessa enciclopedia alla voce "giorno natalizio", troviamo che lo storico del terzo secolo, Origene, aveva ammesso questa verità: "Nelle Scritture non si narra di nessuno che osservasse una festa o che tenesse un gran banchetto in occasione del proprio compleanno".
Un'altra fonte autorevole, nel suo articolo sul Natale, spiega chiaramente: "Fino a che punto la data di questa festa sia dipesa da quella della Brumalia pagana (25 Dicembre), che seguiva i saturnali (17-24 Dicembre) e celebrava il giorno più corto dell'anno ed il nuovo sole, non può essere determinato accuratamente. Le feste pagane dei saturnali e della brumalia erano troppo radicate col costume popolare per essere abolite dall'influenza del Cristianesimo. La festa pagana, con le sue baldorie e gozzoviglie, era talmente popolare che i cosiddetti cristiani furono ben contenti d'aver trovato una scusa per perpetuare la celebrazione con pochi cambiamenti sia nello spirito sia nell'usanza. Dei predicatori cristiani dell'Occidente e del vicino Oriente protestarono contro la frivolezza con cui veniva celebrata la natività di Gesù, mentre i cristiani della Mesopotamia accusarono i loro fratelli occidentali d'idolatria e di adorare il Sole, per aver adottata come cristiana questa festa pagana (New Shaff Herzog Encyclopedie of Religions Knowledge).

La Nuova Enciclopedia Religiosa di Schaff Herzog, nello stesso articolo, spiega come l'imperatore Costantino, riconoscendo ufficialmente il giorno dell'adorazione pagana del dio Sole (Dies Solis, cioè giorno del Sole o Soledi, che più tardi fu chiamata Domenica) e l'influenza del Manicheismo (che identifica il Figlio di Dio come il sole fisico), diedero ai pagani del IV secolo, che si stavano convertendo in massa al cristianesimo, la motivazione necessaria per cominciare a considerare la loro festa pagana, del 25 Dicembre, come se fosse il giorno Natale del Figlio di Dio.
In un trattato dell'anno 243 é indicato come giorno natalizio di Cristo il 28 Marzo. Altre date della nascita di Cristo sono il 2 Aprile (secondo Ippolito) e il 19 Aprile ed il 20 Maggio. Le ultime sono: il 6 Gennaio secondo Clemente Alessandrino; solo gli Armeni sembra che stabiliscano ancora la nascita di Cristo per il 6 Gennaio e il 25 Dicembre.
Infine, nell'enciclopedia Americana, edizione 1944, troviamo scritto: "Il Natale, secondo molte autorità, non era celebrato nei primi secoli della Chiesa Cristiana, poiché l'usanza cristiana in generale era di celebrare la morte delle persone più importanti, non il giorno della nascita. Una festa fu stabilita in memoria di quest'evento (la nascita di Cristo), nel IV secolo...E poiché non esisteva alcuna conoscenza certa del giorno della nascita di Cristo, la Chiesa occidentale nel secolo IV, ordinò che la festa fosse celebrata per sempre nello stesso giorno dell'antica festa romana in onore della nascita del dio sole".

Un'altra importante testimonianza dell'assenza della celebrazione della natività prima del IV secolo d.C., ci è fornita dalla storia dell'arte, infatti solo a partire dal IV secolo d.C. si ha la prima rappresentazione della natività in un affresco, ormai completamente perduto, nelle catacombe di San Sebastiano a Roma e nel V secolo in un sarcofago conservato nel duomo di Ancona.
Queste autorevoli fonti storiche ammettono che il Natale non fu mai osservato dai cristiani durante i primi tre secoli. È evidente dunque come il Natale è una festa pagana "cristianizzata". L'uomo ha imposto l'osservanza di questo giorno, non Dio. L'uomo ha fatto trionfare la sua tradizione sulla volontà perfetta ed eterna di Dio: "E Gesù disse loro: "Ben profetizzò Isaia di voi, ipocriti, com'è scritto: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me. Invano mi rendono il loro culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini". Avendo tralasciato il comandamento di Dio vi attenete alla tradizione degli uomini". Diceva loro ancora: "Come sapete bene annullare il comandamento di Dio per osservare la tradizione vostra" (Marco 7:6-9).
IL NATALE ALLA LUCE DELLA PAROLA DI DIO

GESÙ NON NACQUE IL 25 DICEMBRE
La venuta al mondo di Cristo Gesù é stata la realizzazione delle promesse fatte da Dio nell'Antico Testamento (Genesi 3:15; Isaia 7:14; 9:5,6). La Bibbia ci informa che il Figlio di Dio si è fatto carne (Luca 1:35) ed ha abitato un tempo fra gli uomini (Giovanni 1:1-5,14), ma gli uomini non lo hanno ricevuto (Luca 2:7; Giovanni 1:11). La nascita di Gesù non é dunque una festa gratuita ma gloria spirituale e giubilo per la meravigliosa grazia (Luca 2:14), una gioia che conduce alla riflessione all'adorazione (Matteo 2:11) e che spinge all'evangelizzazione (Luca 2:20).
Ma il Signore Gesù non può essere nato il 25 Dicembre. Non esiste alcun riferimento biblico che indichi questa data e nella Parola di Dio non è menzionato né il mese, né il giorno della nascita del Salvatore.
Non viene neppure dagli Apostoli che furono istruiti personalmente da Gesù Cristo, che invece istituì il battesimo in acqua per immersione come parte integrante della salvezza e la Santa Cena per ricordare il Suo sacrificio. Gli apostoli oltre che insegnare questo, parlarono della resurrezione di Gesù e del Suo ritorno ma mai della sua nascita, anzi, implicitamente e logicamente la narrazione dei Vangeli esclude la possibilità che Gesù sia nato d'inverno per le seguenti ragioni:

A. La fredda atmosfera delle notti di Dicembre in una situazione elevata come quella di Betlemme. In quella regione della Palestina, in Dicembre, la temperatura media notturna è di circa 7°C.

B. I mesi da Dicembre a Febbraio sono periodi piovosi durante i quali talvolta cade anche la neve.

C. In Giudea i pastori non più tardi del 15 Ottobre riportano il loro gregge al riparo per proteggerlo dal freddo, dalla pioggia e dalla neve. Nei Vangeli, invece, si legge che la notte in cui ebbero l'annuncio della nascita del Salvatore, stavano facendo la guardia al gregge all'aperto (Luca 2:8). Infatti: "Era una antica usanza, tra i giudei di quei giorni, di condurre i loro greggi all'aperto, nei campi, intorno alla Pasqua ( all'inizio della primavera) per poi condurli a casa all'inizio delle prime piogge" (Adam Clarke Commentary, New York, Vol.5, pag. 370). Anche la Bibbia prova che l'inverno è una stagione molto piovosa (C.d.C. 2:11; Esdra 10:9-13). È anche importante ricordare che i genitori di Gesù erano andati a Betlemme, perché l'imperatore Romano Cesare Augusto aveva deciso il censimento di tutto l'impero Romano e Dicembre come mese, non sarebbe stato felice per incoraggiare i sudditi spesso ribelli, ad ubbidire (Luca 2:3-7). Nei Vangeli non si parla della presenza di nessun bue o asino nella stalla che riscaldarono Gesù nella fredda notte di Natale (Luca 2:1-7). Di contro i Vangeli ci presentano Gesù, il Signore della gloria fattosi povero per noi. Che differenza fra il Natale dei nostri giorni ed il Natale dei Vangeli. All'ostentazione, alla ricchezza e al consumo del nostro tempo, si contrappone la semplicità dei Magi; il consumismo dei nostri giorni è in antitesi con il Cristo che si è fatto povero (2Corinzi 8:9).

Infine anche i Padri dei primi secoli non sembrano aver conosciuto una festa della natività di Gesù. Origene affermò questa verità: "Nelle Scritture non si narra di nessuno che osservasse una festa o che tenesse un gran banchetto in occasione del proprio compleanno".
Noi Cristiani Evangelici non riconosciamo questa festività perché non esiste alcun riferimento biblico alla data del 25 Dicembre. Dunque, la tradizione del Natale non proviene dalla Bibbia. Del resto gli evangeli parlano di Gesù solo come Salvatore (Luca 2:11). Se per Dio era così importante comunicare il giorno della nascita di Gesù, lo avrebbe fatto in modo esplicito esattamente come aveva fatto per la pasqua (Esodo 12:1-3,14). L'uomo dunque e non Dio ha imposto per tradizione l'osservanza di questo giorno (Marco 7:8). Lo Spirito Santo ci rivela nella Scrittura ciò che é davvero importante per l'uomo peccatore e cioè: "La morte di Gesù e la Sua resurrezione" (Giovanni 3:16;Romani 10:9,10).
Obiettivamente e coerentemente con la Parola di Dio non possiamo accettare le tradizioni umane, in quanto desideriamo restare saldi nella fede (Giuda 1:3). Poiché siamo il tempio dello Spirito Santo, non ci contamineremo con questo mondo e non resteremo inglobati nella confusione di questo mondo (Isaia 48:20). Chi partecipa alle opere infruttuose delle tenebre, corre frettolosamente al male (Proverbi 6:16:18). La salvezza del credente è per la fede non nella tradizione degli uomini, ma nel sacrificio di Cristo Gesù (1Pietro 1:18,19).
SIMBOLI DEL NATALE
ORIGINE DELL'ALBERO DI NATALE
Si narra che Nimrod, nipote di Cam, che a sua volta era uno dei tre figli di Noè, fu il fondatore del sistema babilonese. Quest'uomo edificò la torre di Babele, la città originale di Babilonia, l'antica Ninive. Nimrod, in ebraico deriva da "Marad" che significa "si ribellò". Da molti scritti antichi si apprende molto su quest'uomo, che iniziò la grande apostasia la quale avrebbe poi dominato il mondo fino ad oggi. Nimrod era così malvagio e perverso che sembra abbia sposato la sua stessa madre, il cui nome era Semiramis. Dopo la morte prematura di Nimrod la sua moglie-madre Semiramis propagò la dottrina malvagia della sopravvivenza di Nimrod come essere spirituale, che appariva ogni anno (il 25 Dicembre) in un albero sempreverde, lasciando dei doni su di esso; furono queste le origini del cosiddetto "Albero di Natale". Nel corso delle generazioni successive la tradizione babilonese trasformò Nimrod in un falso Messia, il "Figlio di Baal", il "dio Sole". Nel sistema babilonese la "Madre e il bambino" (Semeramis e Nimrod) divennero poi il principale oggetto d'adorazione. In seguito tale venerazione si sparse in tutto il mondo ed entrando a fare parte di culture diverse si cambiarono solo i nomi. In Egitto la madre e il bambino divennero "Iside e Osiride". In Asia "Cibele e Attis"; nella Roma pagana "Forturla e Giove fanciullo". Anche in Grecia, Cina, Giappone e perfino nel Tibet esisteva tale usanza, molto tempo prima della nascita di Gesù Cristo.
Oltre all'albero sempreverde di Nimrod, anche in altri popoli pagani germanici usavano decorare le loro case con piante sempreverdi, che consideravano come sede degli spiriti della vita e della fecondità. Alcune di queste piante sempreverdi come il pungitopo e il vischio, non soltanto erano vitali nelle gelide stagioni invernali, ma producevano perfino dei frutti, a riprova della loro fertilità. Questi alberi o arbusti, erano, quindi decorati con luci e fronzoli diversi.

Ad esempio i Druidi, sacerdoti degli antichi popoli celtici, i quali abitavano soprattutto nel moderno Galles, in Gran Bretagna, adornavano, nel periodo di fine anno, i rami di questi alberi con mele decorate.
Si crede, generalmente, che il primo albero di Natale sia stato introdotto da Bonifacio, missionario inglese del VIII secolo che addobbò un albero come tributo al Bambino Gesù. Questo rito sostituì i sacrifici che erano celebrati ad Odino (maggiore divinità delle popolazioni scandinave e germaniche), durante i quali, le viscere dei nemici dei suoi fedeli erano sparse sopra degli alberi d'abete, come delle ghirlande, dopo di che erano bruciate. Nell'Italia settentrionale e in molti paesi del centro Nord dell'Europa i doni sono appesi ad un albero, che rappresenta il centro rituale della festa. Il sentimento popolare lo ricollega alla leggenda della croce formata con l'albero spuntato dalla bocca del morto Adamo.
A tal proposito la Bibbia afferma: "Così parla il Signore: "Non imparate a camminare nella via delle nazioni, e non abbiate paura dei segni del cielo, perché sono le nazioni quelle che ne hanno paura. Infatti i costumi dei popoli sono vanità; poiché si taglia un albero nella foresta e le mani dell'operaio lo lavorano con l'ascia; lo si adorna d'argento e d'oro, lo si fissa con chiodi e con i martelli perché non si muova. Gli idoli sono come spauracchi in un campo di cocomeri, e non parlano; bisogna portarli, perché non possono camminare. Non li temete! perché non possono fare nessun male, e non è in loro potere di far del bene". Non c'è nessuno pari a te, Signore; tu sei grande, e grande in potenza è il tuo nome".
In questi versetti sembra esserci una perfetta descrizione dell'albero di Natale. Tutto quanto é tradizione e paganesimo é detestato da Dio: "Allora vennero a Gesù da Gerusalemme dei farisei e degli scribi, e gli dissero: "Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi? poiché non si lavano le mani quando prendono cibo". Ma egli rispose loro: "E voi, perché trasgredite il comandamento di Dio a motivo della vostra tradizione"? (Matteo 15:1-3).


IL VISCHIO
Appoggiata gentilmente su un ramo, tra la terra e cielo, sembra una creatura delicata, invece è un semiparassita. È considerata pianta augurale per eccellenza per le diafane bacche perlate. È interessante soffermarci sulle credenze, virtù e riti magici che questa pianta rappresenta.
Le attuali popolazioni nordiche, discendenti dai Celti che l'avevano portata alla gloria degli altari, l'hanno sempre ritenuta frutto di misteriose forze celesti. Il giorno del solstizio d'inverno, i sacerdoti Celti, cercavano nei boschi quello rarissimo, che nasce sulle querce. Perché proprio quest'albero? Quercia, dal latino "rubur" significa forza, vigore; per l'aspetto maestoso era sacra a Wotan-Odino, re degli dei, che la interrò con le sue mani a Dodona, dove formò un bosco che con lo stormire delle fronde forniva infallibili oracoli. A Roma la corona civica era fatta di foglie di quercia.
I Celti adoravano l'ordinatore del mondo nei più nobili santuari da lui creati: le foreste di quercia. I loro sacerdoti, i Druidi, erano i "conoscitori della quercia" ("dhru"), l'albero sacro emblema della forza vitale.

Il naturale ornamento della quercia, il vischio, era considerato per la sua origine misteriosa una pianta magica in grado di guarire tutti i mali. Veniva raccolto la prima notte dell'anno con un falcetto d'oro dal capo dei Druidi e lo si lasciava cadere su un lenzuolo di lino immacolato, poiché, si diceva, toccando il suolo avrebbe perso i suoi poteri magici.
Poi, seguiva il sacrificio di due torelli bianchi: le vergini vestite di bianco portavano il vischio verso l'acqua lustrale raccolta in un bacile con cui si aspergeva la folla, augurando pace, amicizia e buona salute. Nel medioevo guaritori e streghe preparavano elisir d'amore e pozioni magiche medicamentose. I rami della pianta, infine, accuratamente essiccati e trattati con opportuni riti contro il malocchio, si conservano tutto l'anno nelle abitazioni, per tenere lontano gli spiriti malefici del diavolo.

Quest'ultima usanza non è stata dimenticata; alla fine dell'anno il vischio compare nelle vetrine dei fiorai ed è un regalo propiziatorio che gli amici più superstiziosi accettano volentieri.
Ancora oggi c'è chi crede che passare sotto una pianta di vischio o baciarsi sotto il vischio magico a Capodanno, porti amore e felicità e che donarlo con un tralcio d'agrifoglio significhi augurare una vita lunga e felice, una buona salute e protezione dalle forze malefiche.
Così, ad ogni Natale, la cristianità adorna le proprie case con piante legate alle tradizioni. Sono tutte sempreverdi e probabilmente proprio a questa caratteristica devono il fatto di essere considerate come portatrici di buona fortuna fin dai tempi antichi e noi le abbiamo collegate al solstizio come pure l'abete.

Nell'inverno, infatti, tutti gli alberi sono brulli, apparentemente morti e il sole si fa pallido, quasi stesse spegnendosi; le piante sempreverdi, invece, sono le sole a ricordarci che la vita continua e che la primavera non è lontana. Il verde è sempre stato l'immagine della natura, della fertilità e della prosperità, così come l'albero verdeggiante è l'emblema di ciò che è vivo e fiorente.
Nella religione egizia verde era la Grande Madre Nut, che un inno così celebrava: "Oh Nut semina... come tu sei verde, come il re è verde, come le piante verdi dei verdi".

A sua volta Osiride, che appariva in molte pitture con le carni di questo colore, era soprannominato il "Grande Verde", era colui che risvegliava i morti a nuova vita; la forza vitale della natura stessa, dipinta di verde. L'aldilà era detto: "Campo o lago di smeraldo" o "Campo Verde".
È singolare che nel Tirolo, il Cristo, l'Uomo-Dio risorto, sia spesso raffigurato in verde con due pannocchie di mais accanto. Il simbolo della rinascita e della resurrezione si ritrova anche nelle piante sempreverdi, dal pino alla palma. Il verde è infine per alcuni antichi popoli simbolo di salute: un colore benefico, apportatore d'energia per la crescita e per la guarigione. Tutte le pietre e gli oggetti verdi sono, infatti, considerati magicamente positivi. Anticamente si preparavano talismani di pietra verde e verdi sono pietre come la giada, la malachite oppure le paste vitree smaltate tanto care agli Egiziani, che infonderebbero, secondo gli autori dei lapidari antichi e moderni, energia, coraggio e sicurezza, favorendo anche la stabilità emotiva.
Intorno ad esse in ogni tempo sono nate leggende che hanno alimentato riti, usanze pagane e tradizioni che sono giunte sino a noi; significativo e di notevole importanza è l'abete con il quale si prepara l'albero di Natale.


IL PRESEPE
La rappresentazione del presepe che ha luogo nella Chiesa in occasione del Natale non ha nessun fondamento biblico, si rifà a San Francesco d'Assisi, che secondo la tradizione ideò a Greggio nel 1223 il primo presepe. È evidente che questa rappresentazione, pur avendo un valore artistico e folcloristico è in contrasto con l'insegnamento divino espresso nella Bibbia al secondo comandamento (Esodo 20:3-5), ribadito ancora nel Nuovo Testamento (Atti 17:29).


BABBO NATALE
"Babbo Natale o Santa Claus, distorsione del nome di Nicolaus, non è altro che una rappresentazione di San Nicola vescovo cattolico di Mira del IV secolo il cui culto ebbe molta fortuna in Italia, specialmente in Puglia, attorno all'XI sec. d.C. Una leggenda sulla sua elargizione segreta di doni a tre fanciulle figlie di un cittadino impoverito, affinché si sposassero, sembra aver dato origine al vecchio costume di fare dei presenti in segreto la sera di San Nicola, che più tardi fu trasferito al giorno di Natale. Da qui l'associazione di Santa Claus o Babbo Natale, con il Natale" (Enciclopedia Italiana Treccani edizione 1949 Vol. XXIV, pag. 783).
A riguardo del babbo Natale è paradossale poi che, durante il resto dell'anno, i genitori puniscono i figli per aver detto delle bugie, poi a Natale, essi stessi mentono ai loro figli in merito a Babbo Natale.


DONI E STRENNE NATALIZIE
Alfredo Cattabiani autore del libro "Il calendario", edito da Rusconi, scrive: "Durante le feste ci si scambiavano come doni candele e statuette d'argilla mentre era permesso il gioco d'azzardo e i ruoli sociali s'invertivano. Lo schiavo diventava padrone e il padrone serviva per gioco come a carnevale. Quest'atmosfera scherzosa e persino orgiastica simboleggiava la fine dell'anno vecchio che si disintegrava nel caos da cui si sarebbe formato l'anno nuovo, celebrato il primo Gennaio, quando i Romani si scambiavano come porta fortuna, doni augurali dette "strenae". Originariamente erano rametti d'alloro, simbolo del sole che in quei giorni cominciava nuovamente a ricrescere sull'orizzonte dopo la "morte" invernale del solstizio (22 Dicembre). Oggi si chiamano "strenne", proprio quei doni di vario genere che sono diventate per la cristianità le strenne natalizie".
In genere i doni, le strenne e le altre forme augurali che si attuano in questa particolare festività, rientrano nel rito propiziatorio d'abbondanza e ricchezza. Inoltre lo scambio dei doni tende a rafforzare i legami sociali.
Anche questo scambiarsi dei doni non é biblico. Molti si rifanno a dopo la nascita di Gesù ai doni portati dai Magi (Matteo 2:2-11). Se leggiamo attentamente il testo, notiamo che i Magi non presentarono i doni per il compleanno, perché giunsero svariati giorni dopo. Inoltre offrirono dei doni a Lui, non ai loro amici o parenti. Fra i Popoli orientali é consuetudine che nessuno si presenti davanti ad un Re o un gran personaggio senza avere un dono da presentare in segno di rispetto. La verità é che i Magi non istituirono una nuova tradizione natalizia di scambiarsi dei doni a vicenda per onorare il giorno Natale di Cristo, ma essi stavano seguendo l'antico costume orientale, si presentarono a Colui che era nato "Re dei Giudei" con dei doni, come fece anche la Regina di Sheba, quando portò dei doni a Salomone.
VALORE PROPIZIATORIO AUGURALE
Tale aspetto è accresciuto dal concetto di rinascita assegnata alla festa pagana del "Solis Invicti" e, quindi, alla festa cristiana della nascita di Gesù. Il senso della solennità era che il nuovo sole, la cui comparsa in Dicembre è sempre più breve e l'altezza nel cielo sempre più bassa, da quel giorno rimonta e i giorni cominciano ad allungarsi. Dal Natale si traggono pronostici, osservando lo stato del cielo o lo spirare del vento. Se la festa viene a luna crescente, l'annata sarà buona, magra se la luna sarà calante.
L'acqua attinta alla fontana in perfetto silenzio è apportatrice di benessere, di ricchezze, di felicità, allontana ogni maleficio. Se durante il periodo di Natale si lascia un pane rotondo con in mezzo due rami d'ulivo (simbolo della prosperità) e d'arancio (simbolo dell'abbondanza), si allontanerà il male, facendo regnare il bene. Domandiamoci allora:
TUTTE QUESTE COSE RENDONO VERAMENTE ONORE A CRISTO?

Dopo queste considerazioni qualcuno dirà: "D'accordo ma che male c'é nel celebrare il Natale? Non é forse una buon'occasione per richiamare l'attenzione di tutti, credenti e increduli a ricordare Gesù ed onorarlo?" Non ci sarebbe nulla da obiettare a questa tesi, se la Sacra Scrittura, la Bibbia, rivelazione di Dio all'uomo, non avesse parlato tanto chiaramente al riguardo, ordinando di evitare quanto é pagano ed inutile ed invitando i cristiani fedeli all'Evangelo a condursi in modo degno come ci riferisce Paolo in Efesini 5: 8-11. Tutto ciò che é tradizione e paganesimo é detestato da Dio, infatti Gesù stesso riprende duramente i religiosi del Suo tempo (Matteo 15:3- 6; Marco 7:8).
Molti ripetono: "Ma anche se le cose stanno così, anche se il Natale è una tradizione pagana in onore di un falso dio Sole, noi non l'osserviamo più per onorare il falso dio, ma per onorare Cristo". Ecco cosa dice Dio nella Sua Parola: "Guàrdati bene dal cadere nel laccio seguendo il loro esempio, dopo che saranno state distrutte davanti a te, e dall'informarti sui loro dèi,dicendo: "Come servivano i loro dèi queste nazioni? Anch'io voglio fare lo stesso". Non farai così riguardo al Signore tuo Dio, poiché esse praticavano verso i loro dèi tutto ciò che è abominevole per il Signore e che egli detesta; davano perfino alle fiamme i loro figli e le loro figlie, in onore dei loro dèi. Avrete cura di mettere in pratica tutte le cose che vi comando; non vi aggiungerai nulla e nulla ne toglierai" (Deuteronomio 12:30-32).
L'osservanza del Natale é una tradizione degli uomini e i comandamenti di Dio che abbiamo citato lo proibiscono. Obiettivamente e coerentemente con l'insegnamento della Parola di Dio non possiamo accettare le tradizioni umane, in quanto desideriamo continuare ad essere saldi nella verità rivelataci dal Signore, nella Bibbia, ancorati nella fede (Giuda 1:3). Poiché siamo il tempio dello Spirito Santo non ci contamineremo con il paganesimo di questo mondo (1Corinzi. 3:16,17; 2Cronache. 29:5), tanto meno contamineremo la casa di Dio "luogo di culto". Oggi più che mai l'appello del nostro Dio risuona per quanti prendono alla leggera gli impegni sacri (Isaia 48:20). Chi partecipa alle opere infruttuose delle tenebre corre frettolosamente al male (Proverbi 6:16-19). Ricordiamoci che non siamo stati salvati per tradizione, ma per mezzo del sacrificio sublime di Cristo come d'Agnello senza difetto, né macchia (1Pietro 1:18).
IL CREDENTE ED IL NATALE.
SOTTILI FORME CHE POSSONO COINVOLGERE I CREDENTI NELLA TRADIZIONE NATALIZIA
AUGURI
In questo periodo dell'anno il mondo intero si prepara a festeggiare il Natale. Sicuramente tutti coloro che non conoscono la nostra fede, ci faranno degli auguri. Approfittiamo di questi momenti per presentare il messaggio del Vangelo.

PREPARATIVI
Ricchi e poveri si affaticano in mille modi per la buona riuscita di quel giorno. Il ricco stolto fece dei preparativi, ma risultarono inutili alla salvezza (Luca 12:16-21). Il credente deve prepararsi per qualcosa di più grande. Noè, uomo di Dio, preparò un'arca di salvezza per la propria famiglia (Ebrei 11:7). Noi vogliamo prepararci all'incontro del nostro Sposo, per poter stare con Lui per l'eternità (Matteo 24:44; Apocalisse 19:7).

DONI
Settimanali, quotidiani, riviste, mass media e vetrine di negozi lasciano spot pubblicitari in maniera pressante. La mente dell'uomo riceve questo messaggio tanto da privarlo di ogni volontà (Isaia 1:23; 2Samuele 8:1-3; 2Re 5:25-27). Ricordiamoci che Dema fu attratto dal presente secolo, se ne innamorò e ne rimase vittima (2Timoteo 4:10). Quale atteggiamento deve assumere il credente nel seguente caso? Egli deve tenere la propria mente occupata dalla Parola di Dio: "Quindi, fratelli, tutte le cose vere, tutte le cose onorevoli, tutte le cose giuste, tutte le cose pure, tutte le cose amabili, tutte le cose di buona fama, quelle in cui è qualche virtù e qualche lode, siano oggetto dei vostri pensieri" (Filippesi 4:8).

SPRECO ECONOMICO
L'aspetto religioso del Natale rimane soltanto esteriore, mentre la realtà rientra in un vero e proprio giro d'affari. Lo spreco si fa strada nell'acquisto di nuovi vestiti, nuove macchine, prodotti alimentari, bevande in misura eccessiva e così via. Parrucchieri ed estetisti vivono giornate d'intenso "traffico" lavorativo. I famosi addobbi e l'acquisto della biancheria intima di colore rosso in questi giorni sono per il mondo segno di buona fortuna. Una festa, dunque, contrassegnata dallo spreco economico. Ciò testimonia ampiamente che il Natale, in realtà, non è un giorno in cui viene ricordato il dono di Dio all'umanità per la sua redenzione, ma ha tutt'altro significato. La Parola di Dio ci istruisce ad utilizzare il nostro danaro nel miglior modo cioè per la casa di Dio (Esdra 1:4), per i programmi della Comunità (Malachia 3:8) e per le offerte alle missioni (Romani. 10:14,15).
IL VERO NATALE PER IL CREDENTE
Opulenza, sfarzo, esteriorità: è difficile scorgere in una tale festa, così com'è celebrata oggi, un atteggiamento di devozione a Dio per ringraziarlo di aver mandato il Suo Figlio per la nostra salvezza!
Il vero Natale lo realizza colui che un giorno ha fatto "nascere" Cristo nel suo cuore ed ha realizzato l'esperienza delle nuova nascita. È sempre Natale per colui che ha ricevuto il dono della salvezza per fede. È sempre Natale per colui che in Cristo è stato riconciliato con Dio ed ha realizzato una pace profonda.
COME COMPORTARSI NELLA FAMIGLIA "MISTA"
IL GIORNO DI NATALE?

Il Natale, così come altre ricorrenze religiose, crea sovente imbarazzo per quei credenti che vivono in un ambiente non omogeneo dal punto di vista religioso. Noi cristiani evangelici siamo chiamati a condurci a favore della verità, in modo degno del Signore, in modo da piacere non agli uomini, ma a Dio in ogni cosa (Galati 1:10, Colossesi 1:10).
Il credente non deve partecipare in alcun modo (Efesini. 5:8-11), deve resistere stando fermo nella fede (1Pietro 5:9). Egli sa qual'é il vero modo di adorare Dio (Giovanni 4:24), di onorarLo (Malachia 1:7) e di amarlo con tutto il cuore (Salmo 116:1). Il credente deve combattere strenuamente per la fede, che è stata trasmessa ai santi una volta per sempre (Giuda 1:3).
Il vero Natale, dunque, è aver realizzato la nuova nascita in Cristo Gesù (2Corinzi 5:17). I veri cristiani, infatti, sono pieni di gioia per la nascita di Gesù avvenuta duemila anni fa, perché Egli è venuto a portare pace nei cuori (Giovanni 14:27). Sono pieni di gioia perché Gesù è il Salvatore del mondo è il Salvatore della loro vita (Giovanni 1:11-13). Il credente che ha sperimentato nella sua vita Cristo Gesù il vivente è invitato dalla Parola di Dio a non cadere nella tradizione degli uomini (Colossesi 2:8). Mentre il mondo si prepara per un giorno, il credente deve prepararsi ogni giorno per qualcosa di più grande e di più importante cioè l'incontro con Cristo Gesù (Matteo 24:44), per poi potersi rallegrare per l'eternità (Apocalisse 19:7-9).
Il presente secolo non deve attrarre e vincere il credente, come invece accadde a Dema (2Timoteo 4:10). Il credente come Daniele ed i suoi tre amici non deve contaminarsi (Daniele 5:13-17).
CONCLUSIONE
Abbiamo visto che é difficile scorgere nella maggioranza delle persone che festeggiano il Natale un atteggiamento di devozione a Dio per ringraziarLo di aver mandato Suo Figlio ad incarnarsi. Invece, il vero Natale è per il credente il giorno in cui Gesù nasce nel suo cuore, quello della salvezza. Grazie a Dio non è il caso di ricordarsene una volta l'anno e soprattutto gozzovigliando ed ubriacandosi. È facile oggi provare compiacenza a pensare e a guardare un bambino che rappresenta l'incarnazione di Dio, ma chiediamoci se abbiamo il coraggio di fissare lo sguardo su quello che è lo scopo di tale incarnazione: la Sua morte, la Sua risurrezione e la Sua venuta.
Se si volesse onorare realmente Gesù Cristo al Natale, dovrebbe seguire una vita totalmente arresa e consacrata a Lui. Purtroppo ciò non accade. Questo tipo di situazione ricorda molto da vicino quei giudei che osannarono Gesù nel momento in cui entrava nella città di Gerusalemme e che poi, subito dopo, inferociti, gridavano "crocifiggilo".
Secondo la Parola di Dio il vero significato del Natale è in relazione alla pace. Nell'evangelo della natività c'è l'eco della speranza della pace. Nei tre cantici pronunciati per l'occasione è evidente. Quello di Zaccaria (Luca 1:79), quello degli angeli (Luca 2:14) e quello di Simeone (Luca 2:29). Il profeta Isaia profetizzò del Natale di Gesù (Isaia 9:5,6). È evidente che Egli è la nostra pace. Perciò il Natale del Signore Gesù è il dono della pace all'uomo. Con questa pace il ricordo del Natale del Signore sarà vivo, reale, sempre presente per restare il fermo di riferimento in tutti i tempi.